Autore: 
Katia Ancona

Gli ultimi arresti risalgono a tre settimane fa. Due donne fermate nel Vietnam del nord. Cercavano di portare un neonato in Cina.
Alla polizia hanno raccontato di essere state assoldate da una donna cinese per comprare un bambino da un vietnamita. Prezzo pattuito 875 dollari.
875 dollari bastano per assicurarsi un figlio. Un figlio piccolo a cui voler bene nascondendo la verità di due genitori che, in un paese lontano, si disperano per aver venduto il loro sangue ricevendo in cambio solo illusioni. 875 dollari per un traffico che, nel sud est asiatico, ogni giorno, coinvolge migliaia di bambini.
L’ha messo bene in luce l’Associated Press che, il 24 aprile scorso, ha reso pubblico un documento di nove pagine presentato dall’ambasciata statunitense in Vietnam sulla corruzione del sistema adottivo nel paese. “Il Vietnam ha fallito nelle sue politiche adottive, permettendo corruzione, frode e la vendita di bambini”. Così tuona il rapporto che è tutto un susseguirsi di storie di neonati venduti dal personale ospedaliero a famiglie disposte a tutto pur di avere un bambino e di madri analfabete costrette dai gestori degli orfanotrofi ad abbandonare i propri figli.
Il Vietnam è una fonte di adozioni importante per l’Italia. Nel 2007 sono arrivati da lì 263 bambini, quasi l’8% del totale delle adozioni portate a termine. E l’età media è la più bassa in assoluto: 1,64 anni. Dal 2000 ad oggi sono arrivati nel nostro paese 832 bambini vietnamiti. Nove gli enti autorizzati ad operare nel paese.
Il 4 e 5 aprile scorso nell’ambito del convegno “Scenari e sfide dell’Adozione Internazionale” organizzato dal CIAI (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia) a Venezia, Graziella Teti, responsabile dell’ufficio adozioni, con una relazione dal titolo “Adozioni senza abbandono, abbandono senza adozione” aveva puntato il dito contro questa situazione mettendo in luce la difficoltà degli enti autorizzati di operare nel paese.
Il CIAI, tra gli altri, opera anche in Vietnam dove promuove progetti di cooperazione a favore dei bambini e realizza alcune adozioni. Da questo punto di vista privilegiato è anche in grado di notare le falle del meccanismo. “Nel Sud-est asiatico – ci spiega Graziella Teti – c’è una carenza normativa, c’è un sistema corrotto. Formalmente è tutto a posto ma sappiamo che molti abbandoni non sono spontanei e i bambini sono reperiti attraverso procacciatori”. Il dialogo con l'autorità centrale e le istituzioni locali è stato molto difficile per il CIAI, e per molto tempo nessun caso di adozione è stato avviato, ufficialmente per mancanza di bambini adottabili. In realtà i bambini c’erano. Ma erano “already booked” cioè già prenotati. Sì, è proprio questa la parola utilizzata.
Peccato verificare che negli stessi centri, intanto, moltissime adozioni venivano realizzate. Tutte, o quasi tutte, di bambini molto piccoli. “Naturale cercare di capire da dove provenissero. – scrive la Teti nella relazione - I casi di abbandono spontaneo sono un fenomeno piuttosto raro e quando ciò accade, la comunità di appartenenza tenderebbe a farsene carico, se non ci fossero sollecitazioni di tipo diverso.
Non senza un certo candore, ciò ci è stato più volte confermato da alcuni direttori dei centri”. Stando a questi racconti, l’intermediario contatterebbe la famiglia (solitamente povera, analfabeta e con molti figli a carico) prima della nascita del bambino, convincendola ad abbandonare il neonato in cambio di denaro.
La madre sarebbe poi convinta a firmare la rinuncia al bambino e quindi l’autorizzazione all’adozione.
Secondo altre testimonianze alcune organizzazioni internazionali disporrebbero anche di canali autonomi per procurarsi i bambini. Naturalmente questo può accadere tramite la connivenza di alcuni direttori, di operatori di servizi sociali e di funzionari”. Esiste anche una corruzione legata all’iter burocratico per perfezionare l’adozione, come ci conferma anche Milena Santerini responsabile delle adozioni in Asia per la Comunità di Sant’Egidio: “Ci troviamo continuamente di fronte a richieste di soldi mascherate da donazioni”. “Il problema è che, pur essendo cose risapute, sono difficilissime da provare, altrimenti saremmo andati da un giudice – aggiunge la Teti – per questo noi vogliamo denunciare un sistema che essendo ai limiti della legalità è difficile denunciare”.
Ma che garanzie ci sono sullo stato d’abbandono dei bambini? “Le garanzie che tutti gli step siano rispettati la può dare solo il paese di provenienza e la verifica deve essere fatta dalla rete di servizi sociali. Il problema è che spesso le reti non esistono”.
Ma i paesi interessati come Vietnam e Cambogia cosa rispondono di fronte a queste accuse che vengono da più parti? “Ufficialmente non prendono posizioni, rispondono a noi dicendoci che non lavoreremo più nel paese”.
Sono molti i paesi che hanno sollevato la questione oltre al nostro? “Sì, ad esempio Germania e Regno Unito hanno sollevato la questione all’Aja, in Italia facciamo più fatica a rendercene conto perché da una parte mancano le prove e dall’altra c’è molta pressione delle famiglie adottive. L’interesse che prevale è spesso quello degli adulti piuttosto che quello dei bambini”.

Data di pubblicazione: 
Giovedì, Settembre 11, 2008

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