Autore: 
Sonia Oppici

Il racconto dell'esperienza di un professionista, aiuta a capire i comportamenti dei ragazzi che devono superare situazioni di vita difficili.

Teo   

   Teo ha un'altra nota sul diario. I professori sono esausti: il comportamento è un susseguirsi incessante di provocazioni, il profitto è insufficiente in tutte le materie, il clima di classe insostenibile. Teo trascina i compagni in un progressivo disordine e fare lezione sembra diventato impossibile.

A Teo piace la scuola. La mattina è il primo a svegliarsi. Si veste con cura meticolosa, controlla di non aver dimenticato nulla, tutto allegro mi stringe in un abbraccio affettuoso e si precipita di corsa dalle scale.

È un ragazzino in perenne movimento. Sempre eccessivo. Sempre inadeguato.

L'insegnante coordinatrice ci ha convocato per informarci che Teo racconta spesso episodi della propria vita familiare: il padre era un ufficiale dell'esercito, prima che un male incurabile glielo portasse via. La madre lavora all'estero e per questo non può occuparsi di lui. Il ragazzo sostiene di avere tanti amici e di trascorrere il pomeriggio a casa di ognuno, a turno.

Chiaramente sono deliri. Bizzarri. Il padre se ne è andato e di lui non si hanno notizie.

La madre ha trascorsi inenarrabili e di questo figlio difficile non riesce ad occuparsi: perciò Teo è stato inserito, fin da piccolo in varie comunità da cui, per ragioni connesse alle problematiche che presenta, è sempre stato trasferito.

Gli amici sono inesistenti.

Il gruppo

   Nel pomeriggio parliamo nuovamente dei suoi atteggiamenti, di quanto stiano diventando penalizzanti. Delle fantasie che racconta a scuola.

Teo non vuole ascoltare e interrompe, come di consueto, alzandosi continuamente, uscendo dalla porta e rientrando in una frenetica altalena di avvicinamento e allontanamento. «Perché se sto fermo mi sento male, non ce la faccio. E poi non mi importa di niente. Se non mi vogliono a scuola non ci vado più»

Ribatto: «Ma a te piace andarci».

«Da oggi no».

«Beh, non puoi comunque deciderlo tu. Come non puoi ostinarti a fare caos tutti i giorni.

Forse se tu cercassi di avere un comportamento migliore potresti davvero avere tanti amici che ti invitano.... Inizia a pensarci».

Mi guarda, incenerendomi, e scappa via, dopo aver colpito con un pugno l'armadio.

La sera scoppia in un pianto disperato: «Sono arrabbiato con tutti. Nessuno mi calcola e allora per forza che devo attirare l'attenzione». Un'altra bugia.

Interviene Luca, che ha sempre una buona parola per tutti: «Che originale mettersi a frignare! Attirare l'attenzione in un modo diverso? Perché non provi a metterti in bocca quattro mandarini insieme? Almeno ci facciamo due risate...».

Teo vittimistico: «Ecco... vedi come mi trattano...»

Luca implacabile: «Io sono ironico. Con tutti. E se non capisci neanche le battute, arrangiati». Mi guarda e cerca conferma; i miei occhi non ammettono repliche e Luca sparisce nella sua stanza.

Nel frattempo Teo non ha ancora smesso di piangere: la testa affondata nel cuscino.

Interviene Daniele, apportando un valido contributo: «Secondo me se va avanti così soffoca... ma non gli dici niente?...» E scuotendo la testa si rimette le cuffie e continua ad ascoltare la sua musica assordante.

Teo resta isolato. Come sempre.

Il confronto con me

   Quando si calma, mi avvicino con un cioccolatino: «Sai, dicono che migliori l'umore».

Mi guarda con sospetto, ma si ingoia il cioccolatino: «Posso un altro?... due fanno più effetto". Lo sapevo, ed estraggo l'altro dalla tasca.

Mezzo sorriso: «Grazie».

«Di nulla...».

Approfitto, mentre sgranocchia e non può interrompermi:

«Non sprecare energie per farti detestare. Non serve. Qualunque cosa tu faccia resterai qui.  E andrai a scuola.

E non ci sarà più bisogno di inventare un papà e un mamma diversi. Questo non è il posto migliore del mondo, ma nessuno ti manderà via. Sarebbe bello, però, essere più sereni».

La risposta non è incoraggiante: «Ok. Adesso posso guardare la tele?».

Daniele, a cui non sfugge nulla, e che aveva spento la musica pur tenendosi le cuffie, osserva perplesso: «Dai ci hai provato...»

«Non ci ho provato. Ho detto quello che penso e forse anche voi potreste iniziare ad essere più collaborativi. I momenti difficili li abbiamo avuti tutti o sbaglio?».

I minori incassano. Si siedono sul divano, accanto a Teo, e la situazione si normalizza.

Una porta lasciata socchiusa

   La settimana successiva, Teo lascia sulla scrivania un compito in classe di italiano da firmare. Voto: cinque. In effetti, si tratta di mezza paginetta sgrammaticata. Titolo: "Descrivi te stesso.".

Il tema inizia con l'elenco banale delle caratteristiche fisiche. E prosegue con la famiglia e gli amici: "Dei miei genitori non voglio parlare.

Ora abito in un posto che è un'altra comunità. E non voglio parlare neanche di questo. Amici non ne ho, ma ci sto provando".

Nessuna bugia. Poche parole per comprimere i ricordi. In attesa della verità.

Data di pubblicazione: 
Domenica, Agosto 23, 2009

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