Autore: 
Simone Berti

Olga all'uscita di scuola è felice. Valentina verrà questa sera a casa sua. Resterà a dormire, per la prima volta una sua compagna passerà la notte con lei. Era stato più facile del previsto.

Più volte aveva assistito agli accordi presi in classe tra le compagne e quella sensazione di restare esclusa tutte le volte si ripresentava e cocciutamente bruciava. Adesso, grazie anche alla sua determinazione, ce l'aveva fatta. E non riusciva a nascondere l'agitazione che questo traguardo raggiunto le metteva addosso.

Anche la mamma e papà sarebbero stati soddisfatti, d'altro canto loro si erano sempre dati tanto da fare perché fosse accettata dalle compagne e lei questo lo sapeva bene. Non li avrebbe delusi! Adesso la mamma e il papà sono nel salotto con i genitori di Valentina.

Hanno cenato tutti insieme e poi i grandi si sono fermati a parlare un po' prima di salutarsi. Nello studio c'è il divano letto preparato. Olga e Valentina dormiranno lì, insieme. Sono già in pigiama, hanno scherzato e riso preparandosi, in bagno, trafficando con le creme della mamma. Hanno appena ricevuto la buonanotte e si trovano con le luci abbassate una accanto all'altra.

Valentina si sdraia sotto le coperte per dormire. Olga la guarda e avverte un senso di inquietudine crescente. In silenzio, anche lei sdraiata, cerca di resistere, contrastare in qualche modo quei pensieri che cominciano confusamente a invaderla e ad occupare ogni spazio della sua mente. No, non ce la può fare, adesso lo sa, non si addormenterà, ne è certa.

Comincia a piangere, si fa coraggio ed affronta i genitori che sono ancora tutti insieme di là; ma le parole non vengono, esce solo, tra i singhiozzi, un disperato: «Non ce la faccio, non ce la posso fare, scusate ma non posso!».

Presi in contropiede i genitori faticano a capire, il padre è anche un po' contrariato e non riesce a nasconderlo: «Che scene sono queste Olga, sei stata tu a insistere tanto per avere qui la tua amica a dormire e adesso? ...lei è già a letto, dai torna di là, prova a calmarti e vedrai che ti addormenti. Forza! Che figura ci fai fare!» Ma Olga è irremovibile: «Scusate, scusate, Valentina non può rimanere!»

Solo la mattina dopo una notte passata agitata nel suo letto, con sua madre accanto, Olga riuscirà a dire qualcosa: «Io non potevo, davvero! Non capite, non potevo! e se poi mi addormentavo e stamattina mi venivano a prendere un'altra mamma e un altro babbo?»

Improvvisamente, come da un buco nero un tratto della verità di Olga, un frammento della sua vita, si fa strada: la camera spartita con gli altri bambini è il luogo dell'attesa che si è ripetuta innumerevoli volte. Attesa di qualcosa appena percepito, che non si lasciava configurare più di tanto, se non nella partenza dei compagni che a un tratto non erano più lì con lei ad attendere. Quante volte ne ha sentito parlare! Forse, forse se è brava, forse se ubbidisce, forse se non piange troppo, arriverà qualcuno e la porterà via, qualcuno che potrà chiamare babbo e mamma.

Lo desidera perché le è stato detto più volte che è una cosa che tutti i bambini desiderano e lo teme, anche se non va detto; nessuno lo dice che fa paura perché si sa che sarebbe una paura da sciocchi. A volte nella penombra e nel rumore della camera, accanto agli altri bambini, si sofferma e si trattiene in quel pensiero che da solo la sospende in un'attesa carica di speranza confusa e angoscia... Quella sera, di nuovo, dopo tanto tempo, accanto ad un'altra bambina, aspettando il sopraggiungere del sonno, nella penombra della stanza, l'attesa era piombata violentemente, non a richiamare un ricordo di una situazione passata, ma, senza alcuna mediazione, riportarla a una realtà che non avrebbe trovato più spazio se non come minaccia di cancellare completamente la sua situazione attuale.

Toccherà ora a quei genitori fare i conti con quel piccolo frammento che è stato loro così restituito.

Frammento con cui è difficile cominciare anche un piccolo lavoro di tessitura. È solo un filo che, tutto a un tratto, si è affacciato da quel buco nero che non si lascia riparare. Che trama si può tentare di annodare da qualcosa la cui presenza ci sembrava impensabile e che invece era rimasto iscritto

in maniera indelebile nella mente di quella bambina? L'emozione ha trovato una voce, la paura una parola per dirsi. Forse dovremo attendere molto tempo ancora, dovremo passare e ripassare intorno a quel punto per trovargli un posto, un ordine, o semplicemente per farne qualcosa nella storia che adesso possiamo vivere insieme a lei. Si è depositata una traccia che spesso rischiamo di non riconoscere perché preferiamo pensare che quel passato, di cui non deteniamo nessuna chiave di lettura affidabile, non ci sia e che per nostra figlia gli anni lasciati siano anche dimenticati, una volta per tutte.

Cosa significa allora ricordare? Quando qualcosa assume veramente il valore di un ricordo?

Un ricordo è un ricordo se confinato in una solitudine, nell'impossibilità di comunicarsi, di spartire la sua carica affettiva con gli altri? La famiglia crea una propria storia fatta di ricordi condivisi. Ma laddove non si può ricordare insieme: con e per l'altro, laddove non possiamo rivivere qualcosa perché è già stato vissuto senza di noi, occorre andare oltre e cercare uno spazio dove siano le domande ad essere condivise e accolte, con tutti i loro dubbi e le loro paure, in attesa di trovare il modo di formularle in una lingua in cui non si senta più soltanto il loro suono terrificante e persecutorio.

Data di pubblicazione: 
Venerdì, Ottobre 29, 2010

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