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Nascere e vivere con l'handicap

Autore/i: Anna Davini

Data: 21-06-2007
Argomento: Interviste

Piero Tedde e Donatella Serra hanno due figli, il grande di 17 anni è disabile.

Quando è nato il vostro bambino e quando vi siete accorti che aveva un handicap?
-Il nostro bambino è nato nel 90 dopo una normale gestazione, è nato con trauma da asfissia da parto diagnosticata diversi mesi dopo da un centro specializzato; quando ci siamo accorti che non reagiva a stimoli visivi e non reggeva la testina, ci siamo insospettiti ed abbiamo iniziato a farlo sottoporre a diversi controlli specialistici.

Quindi non avete avuto alcuna segnalazione alla nascita?
- No, nessuno ci aveva detto nulla né all’ospedale né il pediatra. Un pediatra ci ha indirizzato a Cagliari in una clinica specializzata nello studio della microcitemia e, dopo un ricovero di un mese e mezzo, dopo diverse analisi e tac, la diagnosi è stata: paralisi cerebrale infantile. Non avrebbe visto, non avrebbe camminato.

Come avete reagito in seguito a questa diagnosi?
- Dopo la nascita, quando abbiamo capito, siamo passati dalla felicità alla disperazione. Abbiamo subito un trauma, è iniziato un calvario.

Quali cure vi sono state consigliate?
-Dovevamo fargli fare fisioterapia e fare un altro figlio perché un fratello l’avrebbe aiutato.

Avete cercato di reagire e cercare altre strade per curarlo, per aiutarlo nonostante la diagnosi?
-Dopo circa due mesi, gli si è allargato il cranio di circa 2 cm. e ha iniziato a vedere nonostante la macchia nella parte bianca del cervello sinistro. Abbiamo continuato a fare viaggi della speranza in tutta Italia con l’intento di aiutarlo a migliorare le sue aspettative di vita.

Siete stati aiutati da qualcuno? Dalle istituzioni?
-Non ci ha aiutato nessuno e abbiamo capito che i figli così sono come i soldi: chi ce li ha se li tiene! Abbiamo avuto difficoltà economiche per sostenere viaggi, visite e cure di vario genere in giro per l’ Italia. L’abbiamo portato da un luminare a Milano che, dopo mezz’ora di visita, ha diagnosticato quello che già sapevamo: il bambino era cerebro leso . Abbiamo dovuto aspettare due anni per mettere i soldi da parte e farlo operare ai legamenti per permettergli di camminare. Abbiamo provato a fargli mettere in bocca una macchinetta che gli permettesse di deglutire e quindi forse di emettere qualche parola, ma non c’è stato alcun risultato. Non ci ha aiutato nessuno, abbiamo passato notti insonni e giorni dedicati solo a lui e alle visite e terapie.

Come avete reagito all’urto psicologico di quello che vi succedeva?
-Di solito le famiglie reggono male al dolore e alla fatica e alcune volte gli uomini scappano. Noi abbiamo fatto muro compatto, la nostra coppia si è unita maggiormente, non ci siamo arresi e non ci arrenderemo. Il rapporto fra fratelli (il piccolo ha 8 anni) è affettivo, il piccolo protegge il grande e ha capito che la ricchezza è fatta di cose che non si possono comprare, le cose belle della vita non si possono comprare.

Da quanto tempo avete preso la decisione di farlo ricoverare in un centro riabilitativo specializzato?
- Il bambino è ricoverato da circa due anni in una casa protetta, purtroppo a diverse centinaia di chilometri di distanza da noi. Nelle vicinanze non ci sono strutture adeguate. Siamo stati costretti a prendere questa decisione per fargli insegnare quelle autonomie che in casa si rifiutava di imparare, non accettava richieste e regole e reagiva male alle nostre insistenze. Ci è sembrato di averlo abbandonato, siamo stati costretti perché consapevoli che non ce l’avremo fatta con le nostre forze.
Andiamo a trovarlo tutte le settimane anche se la strada d’inverno si copre di neve.

Dal momento del ricovero ci sono stati miglioramenti?
- In questo istituto ci sono 52 operatori (educatori, infermieri, assistenti, cuochi), i bambini sono seguiti tutto il giorno e lui
ha conquistato piccoli-grandi progressi: non succhia più il dito, dorme da solo in camera, riconosce molti oggetti di uso quotidiano, non porta più il panno (anche se non avvisa), non urla, gioca con il computer (riconoscimento di oggetti e collocazioni spaziali, giochi di apprendimento in genere), è socievole e sta in classe volentieri e si diverte, fa fisioterapia e logopedia, sta provando a coordinare i movimenti per mangiare in modo autonomo.

Quanto tempo dovrà stare nella casa protetta?
-Lui ha un rinnovo di 6 mesi in 6 mesi. Il giorno in cui la asl dovesse decidere che il bambino non sarà più in grado di fare
altri progressi, verrebbe reinserito in famiglia o in altra sede.

L’associazione Autismo Sardegna, come cerca di risolvere alcune delle problematiche che emergono nella società nei confronti dei disabili e delle loro famiglie?
- L’associazione ha fatto tanto in Sardegna considerando che c’è poco interesse a livello politico, ci sono poche case protette
e anche la legge 14 sull’abbattimento delle barriere architettoniche è spesso ignorata. L’associazione vuole promuovere iniziative come la giornata dell’handicap, nell’intento di risvegliare interesse sulle problematiche legate all’handicap.

Mi alzo per andarmene, mentre l’orologio di casa suona una dolce ninna nanna per annunciare che sono le 18.00.
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