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Se ne parla ovunque … di adozione

Autore/i:
Anna Guerrieri

Data: 25-01-2013
Argomento: Parlare di adozione

Se ne parla ovunque ... di adozione.

 

Di Anna Guerrieri

 

Di adozione, in questo periodo, si sta parlando tanto ovunque: quotidiani, riviste, programmi televisivi, social media, libri. Se ne mettono in luce le zone d'ombra. Ombre che diventano vaste e rischiano di oscurare realtà importanti. L'adozione (nazionale e internazionale) è uno strumento giuridico fondamentale per dare una famiglia a bambini e bambine che non la hanno. Se non ci fosse l'adozione, tanti bambini resterebbero soli. Ogni volta che un paese chiude le porte all'adozione, di fatto si assiste a tanti bambini che crescono "nella cura dello stato", con tutte le conseguenze del caso.

 

E' bene quindi tenere la discussione saldamente su un binario preciso: come far si che l'adozione (nazionale e internazionale) funzioni al meglio. La grande attenzione che l'Italia da sempre ha sul tema, ha fatto si, almeno a mio vedere, che il dibattito sia da anni forte, con proposte legislative di vario tipo, con confronti intensi. Non è un caso che l'Italia sia paese dove le adozioni si fanno, dove i numeri dell'adozione internazionale, nonostante il calo del 2012 (inferiore peraltro a quello di altri paesi europei), sono elevati, dove i meccanismi pro-adozione sono più di quanti si potrebbe pensare. Quello che manca ancora, tuttavia, sono risultati positivi più stabili in materia di accuratezza del processo, di attenzione alle prassi, di aiuto economico alle famiglie che si rendono disponibili, di preparazione prima e di sostegno dopo l'adozione.

 

E' vero, i costi delle adozioni internazionali devono ridursi, come è giusto che anche i costi dopo le adozioni debbano essere presi in considerazione.

E' vero, l'Italia deve impegnarsi per rendersi disponibile alle adozioni in sempre più paesi esteri dove i bambini abbiano bisogno di famiglie, ma deve farlo muovendosi con attenzione nelle situazioni più critiche e fragili, in modo da evitare contesti di grande drammaticità come quello che sta accadendo alle famiglie che quest'estate sono partite per il Kyrgyzstan, convinte di incontrare i propri figli e magari portando con sé i propri primi figli. Ecco che qui scatta fondamentale la necessità di una grande cautela, una grande attenzione, una grande cura. Perché se è vero (e lo è) che nell'adozione internazionale sono sempre presenti fattori di rischio, tali rischi vanno minimizzati, vanno considerati e previsti, evitando che a correrli siano, ad esempio, degli altri bambini. Dalla parte dei bambini bisogna stare sempre, quelli che hanno bisogno di una famiglia, quelli che in famiglia ci sono già. Siamo certi della grande attenzione che le autorità Italiane hanno sul tema del Kyrgyzstan, e come promesso, seguiamo, come famiglie, con attenzione gli sviluppi. Li aspettiamo.

 

Dunque, se abbiamo a cuore l'istituzione dell'adozione, se ci crediamo, abbiamo il dovere di intervenire nel dibattito di questi mesi e di dire che, ben consapevoli dell'intenso lavoro dei tanti che credono fortemente nel bene dell'adozione, si può fare "meglio" e "di più".

 

Si può farlo ad esempio in materia di controllo di quelle che sono le strutture all'estero delle controparti Italiane, i referenti esteri. Una normativa esiste ed appare piuttosto chiara, piacerebbe darne per scontata l'attuazione.

Si può farlo nell'investire sulla preparazione di chi si apre all'adozione, aprendo una finestra vera sulle realtà dei bambini che si incontreranno, non minimizzando il significato di "bisogno speciale" dal punto di vista medico, anagrafico o di fratria, bensì aiutando a comprendere l'entità di quello che si sta facendo prendendosi cura di una persona con una propria storia, un proprio vissuto e una propria realtà importanti, forti.

Se l'adozione è quello che deve essere, uno strumento per i bambini, si può fare certamente di più.

 

Quello che però riteniamo non si debba fare è quella di confondere ruoli e contesti. Di confusione ne abbiamo già abbastanza. Ci riferiamo alle proposte, provenienti da più parti, di spostare, ad esempio, il lavoro di accertamento dell'idoneità per l'adozione internazionale, in carico a quegli stessi enti autorizzati che poi si occupano delle pratiche all'estero.

E' vero, di preparazione prima dell'adozione ne serve davvero tanta, perché essere adottati è diritto naturale dei bambini e adottare non è un diritto naturale dell'adulto. Perché a chi è in contatto con le famiglie, non sfuggono né le situazioni di abbinamenti rifiutati, né le situazioni di abbinamenti non andati a buon fine nei paesi esteri dopo aver incontrato i bambini, né le situazioni di progressivo affanno e disagio che a volte si innescano al ritorno in Italia, né alcune situazioni di serio disagio famigliare a distanza di anni quando i figli crescono. Ma tutto questo non ha nulla a che vedere con l'attribuire funzioni di valutazione e di decretazione di idoneità agli enti autorizzati, è tutt'altra cosa.

 

Gli Enti autorizzati hanno una funzione ben precisa, realizzare le adozioni all'estero. Il loro primo scopo dovrebbe essere fare questo "bene" con professionalità e chiarezza, mettendo a disposizione delle famiglie competenza, cura, trasparenza nelle prassi e nei costi e certamente un patrimonio di esperienza. Accade per davvero? Accade per tutti? Può il privato che poi dovrò scegliere per adottare essermi presentato prima di ogni mia scelta in fase valutativa? Non si configura un evidente conflitto di interessi?

 

Guardiamo la realtà per come è e diciamoci con franchezza, che c'è molto cammino da fare, anche da parte degli enti autorizzati, prima di proporsi con funzioni di cui andrebbe verificata l'opportunità, la necessità, l'efficacia oltre che il costo.

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