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Oltre il bisogno

Autore/i: Michele Augurio

Data: 15-04-2006
Argomento: Attesa

L’adozione racchiude in sé, sicuramente all’inizio, l’incontro di due “bisogni” e di due esigenze: quella di un bambino nel vedersi riconosciuto un diritto primario di crescere ed avere una famiglia e quello di una coppia nell’esigenza di sperimentarsi e diventare genitori. Il bisogno si compone di due volti (come le facce di una medaglia): mancanza e desiderio, due volti che si confrontano in un intreccio emozionale importante.

Durante il percorso di attesa della coppia nell’iter adottivo molto si discute e si approfondisce sul senso del “bisogno” e di come trasformare la “mancanza” di un evento non realizzato e tanto desiderato, in “desiderio” di trasformazione e di accoglienza dell’altro. Desiderio che dovrà diventare il fulcro di una nuova attenzione nelle relazioni familiare future. L’attesa è quasi sempre un periodo complesso, indefinito e di difficile gestione emotiva; poiché non si sa se e quando il desiderio potrà realizzarsi. E’ il periodo delle ansie e dei dubbi, ma anche dei sogni e delle ipotesi, ed è soprattutto il tempo del confronto e delle verifiche. E’ il periodo che quasi sempre viene “riempito” da percorsi formativi o da incontri preparatori o di scambio di esperienze, diventando così il periodo di maggior apertura della coppia all’esterno, al mondo del sociale, al confronto con l’altro e gli altri. Questo periodo identificato come accompagnamento all’adozione è caratterizzato, se bene utilizzato, come fase evolutiva di un nuovo progetto di vita e di relazioni; è il tempo che ci permette di comprendere la “mancanza” e di accoglierla come vissuto; di elaborare la privazione in “desiderio” dandoci le risorse e le capacità di alimentarlo correttamente.

La frequenza a percorsi formativi apre un confronto emozionale, ponendo l’attenzione su nodi cruciali del vissuto individuale e di coppia. Inizia un percorso che se gestito con professionalità e consapevolezza, accompagna i coniugi nel processo di una nuova acquisizione psicologica ed emotiva, una trasformazione del “bisogno” di genitorialità biologica al “desiderio” di genitorialità adottiva. Come detto, è il periodo di maggior apertura e di maggior confronto su tematiche che spesso sono affrontate sotto voce o in ambiti ristretti: si affrontano i temi della procreazione, dei vissuti individuali che hanno determinato la scelta, delle capacità di ascoltare l’altro, di accoglierlo; ma è soprattutto il momento in cui il bambino inizia a prendere una forma immaginaria nella mente e nel cuore. Tramite il racconto degli operatori e di altri genitori, si inizia a parlare distorie vissute, di abbandono, di problematiche affettive; si inizia a costruire un contorno visivo di una nuova realtà, spesso molto lontana dal nostro immaginario.

L’avvicinamento e le riflessionisu queste tematiche danno vita ad una particolare attenzione sulle capacità degli adulti nel sapersi misurare con le proprie emozioni, le proprie aspettative e nel saper riconoscere i propri limiti; innescando un processo di profonde modificazioni personali e di coppia. Si ridefiniscono esigenze, aspettative di ognuno all’interno di un vissuto relazionale che non può prescindere dal rispetto dell’altro, anche in riferimento ai tempi di elaborazione, che non sono univoci (per tutti), anche e soprattutto nella coppia. In questo periodo, occupandomi sempre di più di formazione, ho iniziato una riflessione più marcata sui processi elaborativi degli adulti, sui reali mutamenti e sulla ricaduta sociale che le sollecitazioni prima enunciate determinano. Quali adulti incontriamo dopo? Quale ruolo sociale assumono e se lo assumono? Con quali occhi vedono e giudicano la sofferenza ele difficoltà degli altri?

Sono queste le domande che mi pongo, interrogandomi su quale reale ricaduta ha lo strumento informativo e formativo che viene attivato nell’accompagnare le coppie durante tutto l’iter adottivo.

Ciò che, a mio avviso, bisogna evitare è la chiusura nel proprio alveo familiare, che molto spesso la realizzazione del percorso adottivo porta, o induce il nucleo a mettere in atto; quasi a voler proteggere la nuova identità adottiva.

La chiusura, se pur inizialmente suffragata dal bisogno di costruire e consolidare nuove relazioni familiari, rischia di far perdere e delegittimare tutto ilpercorso di apertura avviato prima dell’inserimento del bambino. Non possiamo e non dobbiamo dimenticare che il percorso formativo, precedentemente realizzato, deve diventare la base di un nuovo tessuto sociale, di un modo nuovo di sperimentarsi come adulti e come nucleo. Il richiudere l’uscio della nostra casa, dopo un nuovo inserimento o dopo essersi messi in gioco in modo così profondo, rischia di riportarci a vecchie tematiche egoistiche ed egocentriche; appiattendo,se non negando, tutte le aperture psicologiche, relazionali ed emotive che sono state messe in campo precedentemente.

Il contatto con il disagio e la diversità, narrata e raccontata durante il periodo di attesa all’adozione, non può e non deve essere dimenticato nel momento incui si realizza il nostro desiderio. Né allo stesso modo si può pensare che la storia adottiva del nucleo può essere difesa chiudendosi in un mondo familiare; cercando di gestire gli eventi quando, essi accadranno e se accadranno, nel percorso che la nuova storia porterà con se, come ad esempio l’inserimento del bambino nel mondo scolastico.

Ciò che abbiamo appreso, ciò che ha mutato noi ed il nostro vissuto devono continuare ad essere elementi di piena consapevolezza, che ci deve portare ad essere interlocutori attivi nel contesto sociale.

La sofferenza si è trasformata in bisogno e quest’ultimo in desiderio; ma soprattutto abbiamo incontrato la “sofferenza” , la storia ed il vissuto del bambino. L’inserimento è l’inizio di una nuova storia relazionale ed affettiva,è un nuovo incontro che ci porterà ad essere genitori e figlio, ad essere nucleo, ad essere entità affettiva ed educativa.

Per questi motivi l’adozione dopo un doveroso periodo iniziale di conoscenza, costruzione delle nuove relazioni e dell’identità della nuova famiglia, deve portare con sé l’energia, le potenzialità, le risorse, la forza perché la nuova famiglia sia nella società con uno sguardo nuovo, con un sentire nuovo che la porti a capire e comprendere anche la sofferenza degli altri e soprattutto rendendosi portatrice non della propria esperienza adottiva, ma della “cultura dell’infanzia”.
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