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Una madre, tante mamme.

Autore/i: Valentina Sbrescia

Data: 21-10-2014
Argomento: Psicologia e Pedagogia

Unamadre, tante mamme.

Vivere la maternità nellamente, nel cuore e nel corpo.

Di Valentina Sbrescia

Psicologa -psicoterapeuta

 

Introduzione

Checompito epico diventare madre!

Lamamma è l'origine di ogni cosa e nella nostra fantasia ha poteri e capacitàinfinite, contiene in sé tutto ciò che conosciamo, sentiamo e facciamo, e anchequello che non conosciamo.

Saràstato per il confronto che sentivo con tutto questo che, quando mio marito miha informata, nel parcheggio di un centro commerciale, che eravamo statifinalmente abbinati alle nostre figlie, mi sono spaventata a tal punto da fareun salto all'indietro e sbattere sulla macchina parcheggiata dietro di me; hofiutato il senso di un pericolo indefinibile che mi è costato un raffreddoredurato circa tre mesi consecutivi; ho avuto la sensazione che avrei cominciatoa fare errori da quel momento e per tutti i seguenti momenti della mia vitacome madre... è stato devastante! Allo stesso tempo ho avuto la netta sensazioneche avevo tutte le risorse necessarie ad affrontare questo nuovo ruolo, cheavevo in me la forza e il coraggio per fare del mio meglio (e nonnecessariamente ‘il meglio') per tutti i seguenti momenti della mia vita comemadre. In un attimo ero diventata ‘madre': fragile e potente nello stessotempo!

Viracconto questo episodio perché sono convinta che si diventi madre, adottiva obiologica che sia, sia nella mente (il pensiero di tutti gli errori che farò edelle capacità che userò) che nel cuore (paura e potenza) che nel corpo(raffreddore). Inoltre sia la mente che il cuore che il corpo possonosperimentare tutta la gamma positiva e tutta la gamma negativa dellepossibilità.

Esseredonna e diventare madre può voler dire diventare esattamente e completamentequello che si è, realizzare la propria vocazione come direbbero alcuni,realizzare le proprie potenzialità, trasformarsi (tanto nel corpo quantonell'anima) per trasformare la realtà intorno a noi, sentire di avere il poteredi far nascere ma anche di distruggere, di essere ‘potenti' ma anche di avereuna responsabilità che dipende da questo potere.

Laconsapevolezza di questa costante ambivalenza mentale ed emotiva costituisceuna risorsa da recuperare in un momento storico come il nostro che predilige launi-direzionalità, il ragionamento logico e lineare, teso alla risoluzione diproblemi e alla modificazione attiva della realtà piuttosto che la multi-relazionalità,la contemplazione di ciò che accade, del fiume che scorre per andare dove deveandare, la comprensione della realtà, la riunione degli opposti in un Uno... Ioritengo infatti che l'ambivalenza e la flessibilità, la capacità di vedere lecose da più punti di vista differenti e nello stesso momento, sianofondamentali per una vita piena e per la creatività di ciascuno.

Questiultimi principi descrivono un approccio femminile alla realtà e descrivono lecaratteristiche di quella che, nelle culture matrilineari originarie, risalentialmeno al 30.000 a.C., era la Grande Madre: dea amabilissima e terribile, chesa creare e sa distruggere, che fa nascere tutte le cose e le riaccoglie nelsuo abbraccio quando muoiono. È l'archetipo della madre, con tutta la suaambivalenza di ‘madre amorosa' e ‘madre terribile' come la definisce Jung.

Un'altracoppia di ‘opposti' su cui mi piace poter riflettere è quella che vedecontrapposti il corpo e la mente: nessun pensiero e nessuna emozione può vivereal di fuori di un corpo, ma tutto si esprime attraverso di esso. Inoltre il corpofemminile, come vedremo poi, detta i ritmi della trasformazione e dellacreatività: i cicli interni segnano attraverso il fisico l'avvicendarsi di fasiin cui il desiderio e la capacità materna si fanno più pressanti, ma anche ladisponibilità maggiore o minore ad essere madre nutriente e protettiva verso ipropri figli o la necessità di concentrarsi maggiormente sulla propriainteriorità, cicli interni al maternage.

Lacapacità di diventare madre (biologica o adottiva) dunque necessita dellostabilirsi di una serie di connessioni, come in una moderna rete digitale, conpiù soggetti e a più livelli: mentalmente, fisicamente ed emotivamente cimettiamo in relazione con l'idea che abbiamo di come debba essere una ‘buona'madre, con l'esperienza che in quanto figlie abbiamo avuto di quella specificamadre che ci ha cresciute ed amate a modo suo, con il tipo di madre chevorremmo essere per i nostri figli. E tutto questo prenderà poi la formaspecifica delle nostre esperienze in quanto madri perché, oltre alle relazioniche intratteniamo con la nostra vita interiore, costruiamo una nuova relazionecon un figlio in carne ed ossa fuori di noi e che, allo stesso tempo, entradentro di noi come una sostanza di cui noi stesse siamo forgiate. Questa è lastrana alchimia della maternità adottiva: che un bimbo che non si è formatodentro di noi, ci entra dentro e ci forma lui stesso come fossimo fatti dellastessa materia.

Una‘Madre': l'eredità culturale nella nostra idea di buona madre.

«"Tusei la mamma anche della luna?" Mi chiese mio figlio, a due anni, in unanotte di plenilunio, al mare, sotto il cielo stellato. Che gli astri nascanoall'interno del ventre materno è un pensiero mitico, patrimonio dell'umanitàbambina (ma non stupida) che immaginò una grande progenitrice del Tutto,immaginò che corpo e cosmo fossero della stessa sostanza...» ("Primadi Eva", Luisella Veroli, ed. Melusine).

Il principio femminile, sotto la forma della "Grandemadre", origine e fine di ogni cosa, è stato il punto di riferimento spiritualedell'umanità per moltissimo tempo: gli storici parlano di un periodo che si èesteso grosso modo dal 30.000 a.C. al 3.000 a.C., fino all'insediamento,nell'immaginario collettivo, di un dio maschio, il quale ha riassorbito in séanche caratteristiche prettamente femminili, come la capacità di dare la vita.In ogni tempo ed in ogni cultura si è presentata l'idea della "Dea Unica", etutt'oggi si ripresenta a livello individuale, ogni volta che qualcuno siconfronta personalmente con l'idea della procreazione e del nutrimento o con ilfallimento di questi propositi. E in effetti una donna è in grado di partorirema anche di abortire, di proteggere e nutrire ma anche di abbandonare.

Ma se è vero che l'idea che noi abbiamo di come debbaessere una madre la abbiamo ereditata attraverso i millenni e le generazioni dimadri e di figli che nel tempo si sono avvicendate le une alle altre, è veroanche che oggi noi donne incarniamo quest'immagine nella sua totalità: sianella sua polarità positiva che in quella più in ombra. Sono dell'idea chedobbiamo renderci conto che anche quando noi donne scegliamo la vita, abbiamoin noi, costituzionalmente, il potere di distruggerla. A volte l'una cosa valequanto l'altra: entrambe possono essere utili alla prosecuzione dell'esistenza.Renderci consapevoli rispetto ad entrambe le possibilità, ci consente discegliere ogni volta l'opzione che riteniamo migliore nonché di diminuire oeliminare la tendenza al giudizio negativo verso chi sceglie diversamente danoi. A volte mi capita di dare scandalo quando asserisco che tutti siamo statiabbandonati e che tutti siamo stati adottati. Invariabilmente! Figuratevi lareazione quando aggiungo che tutti abbiamo abbandonato qualcuno ed adottattoqualcun'altro nella nostra vita, senza bisogno dell'intervento di alcuntribunale!

Più tardi, nella storia, il culto della Grande Madre, èstato affiancato e poi soppiantato da quello del dio uomo, e, alla dea, è statodato il ruolo di madre o sposa o sorella del dio creatore. Un esempio ne sia lafigura della Madre vergine nella religione cattolica. Un effetto di questadinamica ‘culturale', che si è trasferito sino a noi oggi, è l'eliminazione diuna parte importante della complessità e dell'ambivalenza del simbolofemminile: in altri termini la polarità che ha il più stretto legame con laconcretezza fisica della donna, con la sua capacità di dare e togliere vita, èstata eliminata in favore di un maggiore rilievo dato invece alla spiritualitàfemminile e alla sua capacità di essere nutriente e accudente verso la prole maanche verso il compagno uomo. Insomma, Eva è stata cacciata dal paradiso mentreMaria siede sul trono accanto all'Altissimo! Allo stesso modo noi oggirifiutiamo l'idea di una madre non completamente devota verso i figli,ricercando un livello di perfezione che poco ha di reale; rifiutiamo spessol'idea del piacere fisico unito alla sofferenza anch'essa fisica tipiche delparto; troviamo difficile concepire che quando incontriamo per la prima volta inostri figli non solo non ce ne innamoriamo all'istante ma addirittura litemiamo per lo sconvolgimento che apporteranno alla nostra vita... a volteaddirittura ci arrabbiamo con loro per questo! Ma una ‘buona madre' non lodirebbe mai! Non direbbe mai di sentirsi ‘divorata' fisicamente dalle emozioniche loro suscitano in noi!

Essere madre con e nel corpo

Se quindi è vero chel'originaria unicità e ambivalenza delle esperienze di vita è stata divisa inpolarità opposte, e che la polarità più legata al corpo e alle esperienzeculturalmente disapprovate è stata eliminata dalla consapevolezza, allora ancorauna volta si tratta di riunire gli opposti in un Uno. Ma questo non è un ‘giocoda bambini'. Non siamo nati con la capacità di farlo e a volte le personediventano adulte senza acquisire consapevolezza della propria ambivalenza né lacapacità di comporla in una sintesi.

Iocredo che, in riferimento al tema di questo articolo un'ambivalenzafondamentale sia tra il desiderio dimaternità e il desiderio digravidanza. In quest'ultimo acquista rilievo soprattutto il bisogno,inestinguibile in alcune donne, di provare a sé stesse che il proprio corpofunziona, di trovare conferma della propria femminilità.  Nel primo caso invece prevale l'investimentoemotivo sul bambino e sul rapporto con lui, sia in assenza che in presenza. Laverità è che nessuno dei due desideri può essere escluso dall'esperienza reale.Se in prima istanza si potrebbe ritenere che le madri adottive vivonofortemente il desiderio di maternità o, viceversa, che coloro che sentonomaggiormente il desiderio di gravidanza non saranno mai disponibili ad unagravidanza adottiva, ritengo invece che sia la ‘vergine Maria' che ‘ Eva'abbiano la dignità di esistere contemporaneamente in ciascuna di noi.

Ilpercorso che ho fatto per riunirmi alle mie figlie, la mia gravidanza adottiva,mi ha reso la madre che sono oggi, così come è per qualsiasi gravidanza. Poi,l'incontro effettivo con le mie figlie ha sancito la reale ‘trasformazione'.  Ora ho la certezza che io sono nata perdiventare la loro mamma e loro sono nate per diventare le mie figlie. Tuttaviaè vero anche che ho sentito e sento tutt'ora la mancanza di una gravidanzafisica: è come se mancasse un articolo nel mio inventario delle esperienze normalmentepossibili per una donna e che quindi la mia esperienza non sia completa. Hodovuto rinunciare a questa dimensione fisica ma ho guadagnato una dimensione,anch'essa fisica, normalmente irraggiungibile per la media delle donne: hoacquisito maggiore sensibilità ed intensità nella consapevolezza dellacontroparte corporea delle mie emozioni nonché delle mie emozioni stesse.Inoltre, dal momento in cui ho conosciuto le mie bimbe, ho potuto intrecciare ecostruire insieme a loro un dialogo corporeo-emotivo che in un rapportoprevalentemente non verbale è l'unico in grado di intercettare e soddisfare iloro bisogni di appartenenza, nutrimento, affetto, sopravvivenza ecc.

Ricordosempre un mio maestro che diceva che se si riesce a tollerare l'ambivalenzaabbastanza a lungo, quella sensazione di essere dilaniata tra spinte opposte,allora è possibile la nascita di un terzo elemento, il simbolo, in grado diriunire in sé questi due opposti. Esattamente ciò di cui stiamo parlando! Nelmio caso questa esperienza unificatrice è stato il dialogo corporeo con le miefiglie.

Abbiamocominciato a dialogare quando, al primo incontro, la mia figlia maggiore ci ècorsa incontro entusiasta e la piccola si è nascosta nella sua stanza,impaurita; quando, cercando di entrare in contatto con loro, ho fatto salire lagrande sulla mia schiena, così come fanno le mamme in quella parte del mondo:il sorriso spontaneo di mia figlia mi ha fatto capire che in quel momento, perla prima volta, lei si è sentita figlia ed io mi sono sentita proprio suamadre. Ci siamo reciprocamente riconosciute! Allo stesso modo la bimba piccolami faceva capire di non riconoscermi come madre ogni volta in cui, percambiarle il pannolino, la separavo dalla sorella: il suo pianto era disperatoed inconsolabile e allora io mi affrettavo a riportarla il prima possibile alsuo unico punto di riferimento: in quel momento mi regalava la possibilità dipoter sentire in me come si sentiva lei: persa, in pericolo, angosciata! Potreicontinuare così all'infinito perché tutt'oggi il nostro rapporto segna i suoimomenti più importanti in questo modo.

Nonposso dunque separare, nella mia esperienza, il senso di essere madre da quelloche vivo con e nel mio corpo.

Amoremio, non ti sopporto!

Klimtha saputo rappresentare in modo egregio la polarità tra amore e odio nellamaternità. Se osservate con attenzione l'immagine qui accanto noterete che ladonna incinta, di cui sono evidenziati pochi elementi tra cui il viso, la manodestra ed i seni colmi, sembra impegnata in un dialogo con il bimbo che portain grembo; noterete anche che sulla pancia è poggiato un teschio e che giù,alla base dell'opera, sono rappresentate tre donne chine, con un'espressionetra la tristezza e l'indifferenza, o in atteggiamento di preghiera. In sensoallegorico Klimt vuole rappresentare la circolarità del tempo della vita, tranascita, nascita di un nuovo individuo e morte, un ciclo in cui la donna ha unruolo centrale.

Anticipandodi qualche anno l'elaborazione junghiana dell'archetipo della Grande Madre, cheabbiamo precedentemente discusso, quest'immagine racchiude in sé il polopositivo, nutriente e protettivo, della maternità, e il polo negativorappresentato da ciò che è oscuro, che seduce e ‘intossica'. È quest'ultimoaspetto dell'opera quello che ci interessa in questo momento. Lo scambio diamore e odio, di nascita e morte, è infatti reciproco in un rapporto tra madree figlio.

Quandonasce un figlio o quando si diventa madri, è inevitabile che la donna così comeera prima, muoia: in altri termini non siamo più quello che eravamo prima,magari ragazze spensierate o professioniste o semplicemente figlie o compagne.Tutto questo cessa di esistere, in un certo senso muore, e diventiamo qualcos'altro,a volte desiderandolo tanto e a volte non così tanto. E sebbene questo riempiala nostra vita in modi prima impensabili, certamente possiamo sentire rabbiaverso la causa di questa perdita, cioè il figlio! Dall'altra parte una madrepuò non sentirsi sempre all'altezza delle aspettative del proprio figlio oppurepuò fare scelte non funzionali alla sua crescita e al suo sviluppo individuale,attirando su di sé anche i sentimenti negativi della propria prole.

Nellanostra cultura siamo molto più facilitati a considerare che un figlio abbia ildiritto di odiare i propri genitori, specie se in un periodo che reputiamo aquesto deputato come l'adolescenza. Più raramente siamo disponibili a concedereai nostri genitori di odiarci, magari non sempre ma almeno qualche volta!D'altra parte anche i genitori possono essere ingenui, inconsapevoli, ancheloro hanno sentimenti ambivalenti, possibilità e limiti, hanno la loro storia eil loro carattere. E anche noi in quanto madri abbiamo la possibilità disentirci indifferenti ogni tanto se non addirittura ostili verso i nostrifigli, per quello che ci hanno fatto, che ci stanno facendo o che ci faranno!

E ineffetti, tipicamente durante la gravidanza, sia essa biologica o adottiva, sonotanti e diversi i sentimenti che si provano: alla gioia si accosta la paura, alsenso di realizzazione della propria vita si associa la paura di non farcela, altimore di non possedere quello che comunemente viene chiamato "istinto materno"fa eco la sensazione di star realizzando completamente la propria personalità.

I cicliinterni al maternage

Abbiamofinora parlato dell'ambivalenza spirito/corpo e di quella amore/odio nelrapporto tra una madre ed il suo bambino. Mi interessa ora approfondire unmomento tipico di interazione ed integrazione tra queste due ambivalenze: nelmodo di prendersi cura dei propri figli, cosiddetto ‘maternage', esistonoinfatti degli andamenti ciclici, legati al corpo femminile ed ai suoi cicliinterni. In linea generale infatti, l'arrivo del mestruo è il simbolo dell'ambivalenzafemminile: la sterilità di una mancata nascita ma anche la potenzialitàgenerativa annunciata dallo stesso sangue. Questi cicli influenzano il modo incui percepiamo noi stesse ed i nostri bisogni, ma anche i nostri figli ed iloro bisogni.

Ilciclo mestruale infatti alterna diverse fasi, ciascuna con una sua peculiaritàdi atteggiamento interiore verso il mondo: di chiusura oppure di apertura edaccoglienza. Allo stesso modo, se ci osserviamo con attenzione, troviamo che inconcomitanza con queste fasi fisiche, noi donne viviamo anche specifiche fasiemotive. Nell'arco dei 28 giorni alterniamo fasi di grande disponibilità ededizione verso l'altro a fasi di necessaria introspezione e bisogno disolitudine, in cui ci capita o abbiamo necessità di allontanare gli altri.

Inparticolare Miranda Gray, nel suo libro "Luna rossa" esamina questacorrispondenza, ed io voglio ora utilizzare le sue osservazione per integrarlecon quanto finora detto riguardo al principio materno ed alle sue vicissitudini.La Gray spiega come nella fase del mestruo, che lei chiama ‘fase della strega',è abbastanza diffuso per le donne sentirsi irritabili e distruttive. Ciò chepredomina è la sterilità, sia fisiologica che nei sentimenti, e questacondizione influisce su tutto ciò che ci circonda. Questa è una faseintrospettiva e depurativa in cui noi donne accumuliamo energia e cirigeneriamo in una condizione spesso di isolamento mentale oltre che fisico. Èin questo momento che abbiamo minore disponibilità alla cura dei rapporti, siacon i partner che con i figli: tipicamente infatti, lo stato emotivo alteratoinfluisce anche su di loro e sulla percezione che noi abbiamo dei loro bisogni.Per fare un esempio, questo è il momento in cui le mie figlie, forse intuendo lamia minore disponibilità emotiva, sono più irrequiete e fanno più capricci, maanche quella in cui io ho meno pazienza. Questa è anche la fase in cui piùfacilmente si esprime la polarità in ombra della maternità, quella che,rispetto all'archetipo iniziale, esprime la madre terribile junghiana.

Lafase successiva è quella denominata ‘della vergine'. In qualche modo questafase ci riporta ad uno stato adolescente della vita. Siamo dinamiche e radiose,ci sentiamo nel pieno possesso delle nostre capacità, e poiché non abbiamoancora interesse alla fertilità e alla maternità, e più facile proiettarci nelmondo al di fuori di noi, agli impegni lavorativi, alla realizzazione deinostri progetti. Capita spesso allora di sentirci creative, più attraenti e conmaggiore voglia di giocare e di giocarci. Mi ritrovo spesso in questa fase adiventare la compagna di giochi perfetta per le mie figlie. È più facile allorariuscire ad intercettare i bisogni di spensieratezza e di gioco libero, ilpiacere dei versi sgradevoli e delle puzze, di tutte quelle cose cheinterrompendo il flusso della buona educazione e della routine prestabilita,permettono di vedere le cose da un diverso punto di vista. Dopotutto lacreatività è proprio questo!

Lafase ovulatoria, descritta come la ‘fase della madre', stimola e spinge allariproduzione ma anche a maturare il senso della maternità interiore. Questo èil momento in cui tipicamente noi donne siamo più ricettive, in tutti i sensi:siamo come predisposte a soddisfare i bisogni altrui con cure amorevoli e sensodi responsabilità. I figli riprendono una posizione predominante nel nostroorizzonte di vita, e questo ci permette di sentirci madri nutrienti, incarnandola polarità luminosa dell'archetipo della Grande Madre. Personalmente, quandomi trovo in questa fase, mi rendo conto di essere molto più accondiscendente epaziente verso le mie figlie, sono più tollerante verso i loro capricci dabambine e, nonostante la calura di questa stagione estiva, trovo addiritturapiacevole che mi si stringano addosso con i loro calorosi abbracci! In altrimomenti lo troverei estremamente sgradevole e tenderei ad allontanarleinfastidita.

Conl'ultima fase, quella ‘dell'incantatrice', che prepara alla prossima fase dellastrega, il lato interiore della vita torna ad essere predominante. Siamo piùintuitive del solito, il nostro ‘sesto senso' si acuisce, riusciamo a vedere lecose più in profondità e con più chiarezza. Se ci penso, questi sono stati imomenti in cui ho intuito con più chiarezza le dinamiche interne delle miefiglie, le loro paure, i loro ragionamenti e le loro necessità più intime.

Mirendo conto che quello che scrivo può sembrare artificioso, di stile vagamente‘astrologico e zodiacale', poco realistico. Non voglio certo separare il tempodi una vita in termini tanto perentori, perché è vero che la vita scorre ed hai suoi ritmi, tuttavia credo che molte mamme, se si mettono in ascolto dellaritmicità della propria vita, possono facilmente riconoscere una maggiorefacilità o difficoltà nel relazionarsi con i propri figli o con sé stesse, unacerta alternanza di stati emotivi, che curiosamente segue i ritmi fisiologicidel proprio corpo. Questi ritmi sono gli stessi che si esprimono nei cicliinterni al maternage. Infatti non abbiamo un solo modo di prenderci cura deinostri figli, ma forniamo loro la nostra presenza e le nostre cure in modidiversi e ricorsivi, a seconda del momento di vita che viviamo.

Conclusioni

Inquesto articolo ho voluto fare insieme a voi un percorso, sia storico che culturalee personale, di riconoscimento della naturale ambivalenza femminile,perennemente in equilibrio tra due estremi opposti. Abbiamo visto insieme comequesta ambivalenza sia nata insieme agli uomini e sia stata poi violentementedecurtata di una parte importante di sé attraverso un violento interventoculturale. L'esito di questa operazione è stata dunque l'esclusione, dallacoscienza personale degli uomini e delle donne moderne, di buona parte diquanto è fisico, sgradevole, crudele e distruttivo. Questo diventa un problemanel momento in cui tutto ciò che non amiamo in noi, e che rigettiamo fuoridalla nostra consapevolezza, si esprime poi con maggiore vigore e in modi chenoi troviamo inaspettati ed ingestibili.

Diventadunque urgente, a mio parere, recuperare la consapevolezza di una dualitàcostitutiva delle donne e delle madri, che ci permetta di riappropriarci anchedel nostro lato ‘in ombra' e di valorizzarlo come parte del ciclo della vitache si rigenera. Tutto questo non può avvenire al di fuori del nostro corpofemminile, sia in termini di sensibilità emotiva all'interiorità nostra e deinostri figli, di dialogo corporeo ed emotivo con loro, nonché di rispetto deiritmi che naturalmente viviamo nella rigenerazione di noi stesse e del nostromodo di prenderci cura dei nostri bimbi.

Quindi,sebbene la Grande Madre racchiuda in sé tutto l'orizzonte della maternità chepossiamo immaginare, sia in termini di polarità positiva che negativa, ciascunamamma esprimerà la sua propria capacità di essere madre proprio di quel figlioche le appartiene e che forgia la sua maternità giorno dopo giorno. Esiste unasola Madre, ma tante sono le mamme.

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