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Kenya, la violenza dopo le elezioni

Autore/i: Beatrice M. Spadacini

Data: 02-05-2008
Argomento: Paesi

NAIROBI (Gennaio 2008) – Salim Ahmed stava giocando con gli amici vicino alla sua casa di Kisumu, una città nella Provincia di Nyanza, quando venne colpito da una pallottola vagante sparata dalla polizia durante una delle tante manifestazioni di protesta che si sono susseguite da quando sono stati dichiarati i risultati delle recenti elezioni. Ahmed, che aveva appena dieci anni, è morto sul colpo. La sua breve vita si è spenta all’improvviso su un campo di calcio. Secondo la madre di Ahmed,  Salima Ali, i suoi amici, sconvolti per l’improvvisa morte di Ahmed, sono ancora sotto shock e traumatizzati da quel che hanno visto.
Qualche settimana fa i dimostranti dello slum di Kibera, nella capitale Nairobi, hanno preso un bambino di cinque anni e lo hanno sventolato come fosse una bandiera sopra le loro teste davanti alla polizia militare che bloccava le uscite dallo slum.
Lo scopo dei dimostranti era quello di raggiungere il Parco Uhuru (Libertà) dove si doveva svolgere la manifestazione contro il governo annunciata dal leader dell’opposizione Raila Odinga.
Non so cosa sia successo a quel bambino, ma so con certezza che nell’ultimo mese nessun gruppo di dimostranti ha potuto raggiungere il Parco Uhuru.
Per ragioni di sicurezza, il Governo ha vietato ogni tipo di manifestazione ed i residenti di Kibera si sono, di fatto, trovati rinchiusi nello slum, circondati dalla polizia militare, praticamente agli arresti domiciliari.
Ai primi di gennaio, circa trenta chilometri fuori dalla città di Eldoret, nella Rift Valley, una chiesa è stata rasa al suolo da un gruppo di giovani che brandivano machete, accette e bastoni. Dentro la chiesa si era rifugiate circa 35 persone, prevalentemente donne e bambini, scappate dalla violenza che si era abbattuta sulla campagna circostante. Sono morti tutti, bruciati vivi.
I bambini ed i giovani sono tra le principali vittime della violenza post elettorale in Kenya che, ad oggi, ha già causato circa 850 morti e oltre 300.000 sfollati; molti sono i bambini che sono stati feriti, uccisi o sono diventati orfani. Insieme alle donne ed agli anziani, i bambini riempiono i campi provvisori che si sono creati in molte parti del Kenya, un paese che fino a poco tempo fa era una delle destinazioni turistiche più conosciute in Africa.
Non è insolito ora, anche nella capitale Nairobi, vedere passare per strada dei piccoli camioncini stracolmi di effetti personali, valigie, mobili, sedie, materassi, contenitori di acqua e persino qualche gallina ancora viva legata a tutto il resto. La gente scappa con i suoi pochi averi e cerca rifugio nelle scuole, nelle chiese e nelle stazioni di polizia. I più fortunati traslocano da parenti ed amici.  In principio, gli sfollati appartenevano principalmente all’etnia Kikuyu, quella dell’attuale Presidente. Ora ci sono sfollati di ogni tipo dato che i Kikuyu si stanno vendicando.
In una stazione della polizia di Bunrt Forest, nella Rift Valley, una ragazzina diciottenne di nome Rispa Irungu mi si è avvicinata e mi ha confessato che le mancava solo un esame per arrivare alla maturità.
“Ho perso tutti i miei libri di testo”, ha detto. “Hanno bruciato tutto. Siamo scappati di corsa. Vorrei finire la scuola, ma ora non ho più niente e vivo dentro una macchina rotta. Cosa ne sarà del mio futuro e dei miei studi?”
I suoi occhi erano penetranti. Si aspettava delle risposte concrete, non una persona che prendeva appunti. Non sembrava neppure che le importasse del fatto che, probabilmente, non avrebbe avuto per un pò di giorni accesso al cibo, all’acqua, al sapone e ad altre necessità di base. Non sembrava neanche essere preoccupata dal fatto che di sera facesse freddo e che le coperte distribuite delle agenzie umanitarie fossero poche. La mente di Irungu era concentrata solo su una cosa: voleva finire gli studi e arrivare all’esame della maturità.
Secondo i dati rilasciati dal Ministero per l’Educazione e riportati nel quotidiano locale Nation, più di 60.000 studenti delle scuole elementari e media nella Rift Valley sono ufficialmente diventati degli sfollati a seguito della violenza post elettorale. Circa 660 insegnanti sono stati temporaneamente trasferiti in zone dove la loro vita non è in pericolo, mentre altri 10.000 sono rimasti senza lavoro.
Il Ministero prevede che migliaia di bambini quest’anno non potranno partecipare agli esami della scuola elementare e delle medie. Una circostanza che li farà restare indietro anche quando riusciranno a riprendere gli studi. Nonostante il fatto che le agenzie umanitarie stiano allestendo tende scuola nei campi degli sfollati, molti studenti perderanno l’anno scolastico e dovranno ripeterlo in futuro.
La sicurezza all’interno dei campi è un altro  problema che ha un impatto sui bambini e sui giovani. Lo scorso fine settimana nella città di Nakuru, la capitale della Rift Valley, delle bande di giovani appartenenti ad etnie rivali hanno cominciato ad allestire posti di blocco per le strade, fermando la gente sugli autobus e chiedendo loro le carte di identità. Quelli appartenenti ad un certo gruppo etnico sono stati picchiati o uccisi sul colpo. Anche i campi degli sfollati sono stati presi di mira e alcuni persino attaccati.
Il New York Times ha riportato che nella città di Kisumu, sulle sponde del lago Vittoria, una folla di giovani ha invaso un campo scuola e saccheggiato tutto, portando via banchi, sedie, libri, porte e persino finestre. La televisione locale ha mostrato immagini in cui si vedevano bambini terrorizzati scappare mentre la folla impazzita circondava la scuola. I bambini si tenevano per mano ed erano visibilmente impauriti. Inevitabilmente, l’impatto psicologico della violenza avrà notevoli ripercussioni sulle nuove generazioni.
Dorah Nyanja, un’infermiera che lavora nel villaggio di Soweto, all’interno dello slum di Kibera a Nairobi, dice che i bambini mostrano comportamenti più violenti del solito e che fanno domande insolite.
Ad esempio le chiedono, “Daktari, a quale etnia appartiene lei?” E’ una domanda che preoccupa l’infermiera e alla quale lei risponde: “Che differenza fa a quale etnia appartengo io? Sono qui per curarvi e per fare il mio lavoro”.
Non è la prima volta che ci sono episodi di violenza etnica a seguito delle elezioni in Kenya, spiega Nyanja, ma questa è la prima volta che la violenza è arrivata dappertutto e che le divisioni tra etnie sono così marcate. I bambini hanno visto scene traumatizzanti, attacchi a persone innocenti, morti e feriti, la distruzione di case private, scuole bruciate. Alcuni hanno persino visto i propri insegnanti venire cacciati da altri studenti.
“Penso ci vorrà molto sostegno psico-sociale per riparare quanto è accaduto a Kibera e in altre zone del paese”, dice Nyanja. “I genitori devono capire che i bambini interiorizzano ciò che vedono e sentono dagli adulti; dopodiché si manifestano determinati comportamenti distruttivi. Occorrono interventi terapeutici e molto lavoro nelle comunità di base per ricostruire un terreno sociale positivo”.
La violenza sessuale e lo stupro nei campi per gli sfollati sono diventati una preoccupazione per il personale medico e gli operatori umanitari. In troppi casi, uomini, donne e bambini sono obbligati a dormire sotto lo stesso tetto. I bagni sono pochi e le illuminazioni non sono adeguate, se ci sono. D’altronde, questi campi improvvisati non erano destinati a essere luoghi di accampamento per gli sfollati.
Anche i casi di “sesso sopravvivenza” stanno aumentando. Questo termine si riferisce al fatto che donne e ragazze vengono spesso costrette, all’interno dei campi, a scambiare un rapporto sessuale con la protezione o l’accesso al cibo, acqua ed altre risor se essenziali.
La violenza sessuale è una conseguenza della confusione generale del periodo post elettorale e della debolezza delle forze dell’ordine. Secondo i dati riportati dal quotidiano Nation, nei primi due giorni di violenza a seguito delle elezioni lo scorso fine dicembre, il Nairobi Women Hospital ha ammesso otto ragazze, la più giovane delle quali aveva appena 12 anni. Da allora l’ospedale ha dichiarato che in media i casi giornalieri si sono raddoppiati rispetto ai dati usuali. I casi di stupro, secondo i medici, sono probabilmente molti di più dato che la maggioranza delle donne e delle ragazze nello slum non osa riportare questo crimine per paura di venire stigmatizzate all’interno della propria comunità.
I giovani vengono manipolati dai politici e della retorica utilizzata per fomentare la violenza. La violenza che oggi attanaglia il Kenya è principalmente causata da giovani uomini disoccupati e facilmente usati da politici senza scrupoli per pochi soldi. Le immagini delle TV locali mostrano gruppi di ragazzi incattiviti che sventolano machete, bastoni e persino archi con frecce.
Questo tipo di immagini provocano timori e fomentano il desiderio di vendetta da parte delle etnie colpite. Si entra perciò in una spirale viziosa e pericolosa. Si parla ormai di pulizia etnica.
L’impatto della violenza sull’economia locale ha già avuto effetti disastrosi, con un aumento dei prezzi delle necessità di base e un grosso colpo all’industria del turismo in Kenya. La conseguenza di tutto ciò è un immediato aumento della disoccupazione tra i giovani, un maggiore divario tra classe ricca e povera e certamente una nuova ondata di crimine.
Le stazioni radio locali ultimamente fanno sentire spesso una canzone che s’intitola “Kenya Only” scritta e cantata da un giovane cantante keniota di nome Eric Wainana. La scrisse nel 1994, l’anno del genocidio in Ruanda. Come allora, la canzone di Wainana, contiene un messaggio indirizzato ai politici ed ai cittadini.
Attenzione a giocare con il fuoco dell’ideologia etnica, è il messaggio di fondo.
“Sono orgoglioso di essere keniota”, dice la canzone. “Siamo una nazione ed un popolo. Siamo la nostra bandiera. Il colore della nostra pelle è nero, rosso è il colore del sangue che abbiamo versato per l’indipendenza, bianco è il simbolo della pace e verde è la bellezza del nostro paese”.
Chissà se i leader politici del Kenya, per amore delle generazioni future e per gli studenti come Rispa Irungu, ascolteranno il messaggio di pace contenuto nella canzone del giovane Wainana. Riusciranno a trovare un compromesso e ad affrontare i problemi che sono alla base di questa nuova ondata di violenza etnica?
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