Home | Chi siamo | Dove siamo | Sportelli | Iniziative ed eventi | Percorsi di preparazione | Se ne parla in GSD | Links | Recensioni | Notiziario mensile |
Notiziari (pdf) | Articoli dai Notiziari |
A domanda risposta | Ufficio stampa | Audio e video | Contatti |

GSD Informa

Articolo

Imparare in tempi di crisi - prima parte

Autore/i: Roberta Lombardi

Data: 17-12-2013
Argomento: Scuola

Imparare in tempo di crisi.

L'integrazione difficile dei ragazzi adottati (e delle lorofamiglie) nelle scuole secondarie - prima parte

di Roberta Lombardi

 

Non temere i momenti difficili, il meglio viene da lì

Rita LeviMontalcini

 

Soventesi parla delle difficoltà di inserimento a scuola del bambino adottato. Moltomeno si è discusso fin ora delle difficoltà scolastiche dei giovani adolescenticon storia adottiva, ovvero dei problemi che insorgono nella scuola secondaria.

L'esperienzadi molte famiglie adottive però testimonia le difficoltà a scuola di moltiragazzi, adottati ormai molti anni prima. Anzi, sovente i problemi inizianoproprio gli ultimi anni delle scuole medie e ancora di più alle superiori.

 

Maqueste difficoltà possono esser tutte ricondotte al particolare percorso diabbandono / adottivo, o non possono invece essere determinate da fattori propridi quel ragazzo, quella famiglia, quella scuola, al di là dell'adozione?

 

LO SPECIFICO ADOTTIVO

 

Credoche prima di ogni ragionamento, bisogna quindi chiedersi se riteniamo opportunotrattare l'adottato come una‘categoria' che caratterizza i figli negli anni; e se si fino a quando?

Ovvero,mi chiedo: esiste uno specifico adottivo?

Ovvero,si rimane adottivi per sempre? Sempre figli, sempre fragili, e quindi sempre datutelare?

Equindi, i problemi scolastici che eventualmente un ragazzo può presentare a 12- 19 anni in che misura possono ancora essere ricondotti ancora alla dimensioneadottiva, ed è giusto farlo?

 

Sono dell'idea che l'essere stato adottato non può e non deveessere ritenuto un handicap. Pertanto pretendere a scuola un trattamentodifferente per questo, rispetto a quello messo in atto verso gli altri alunni, puòveicolare un pericoloso messaggio di diversità che non è d'aiuto né per il ragazzoin sé, né per la sua crescita ed integrazione nel gruppo classe.

Ritengoche l'essere adottati sia un elemento proprio della identità, non invece unelemento di fragilità. In verità non è neppure una risorsa. E' una condizione.Che come tale caratterizza alcuni aspetti della vita. A volte spiega molto diquanto accade, soprattutto nella fase dell'adolescenza.

Sono infattid'accordo con Winnicott che afferma che "durante l'adolescenza i figli adottivinon sono come tutti gli altri, per quanto invece si faccia finta che lo siano".

 

Pertantosono portata a pensare che ci si, esiste uno specifico ‘adozione' nei problemiscolastici dei figli nelle scuole di secondo grado, anche se l'esperienzaabbandono/adottiva non può essere naturalmente l'unica chiave di lettura ditutti i problemi che si possono presentare, né in sé una condizionenecessariamente limitante.

 

OTTIMI PERCORSI SCOLASTICI - RESILIENZA

 

E'evidente in svariati studi, al contrario, che molti adottati hanno degli ottimipercorsi scolastici, a volte anche migliori di figli non adottivi.

Eppuregli operatori dell'adozione sanno bene che la domanda di consultazione da partedelle famiglie adottive arriva sovente proprio a seguito di difficoltàscolastiche, a conclusione di un ciclo con lo spauracchio della bocciatura, oall'inizio dell'anno quando - nonostante le promesse dell'estate - iniziano leprime assenze o si scopre che i figli marinano la scuola.

Quindi,seppure i ragazzi che presentano problemi a scuola non rappresentano grandinumeri, in quelle situazioni dobbiamo riconoscere che la famiglia vive unostress davvero notevole e quindi merita delle risposte, delle chiavi dilettura, delle strategie.

Inoltre,va anche rilevato che sovente la buona riuscita scolastica di un figlioadottato è l'effetto di un impegno eccezionale in termini di tempo, di forze edanche di spese economiche da parte della famiglia, per sostenere a casa questiragazzi con ripetizioni, o con un accompagnamento ai compiti da parte deigenitori stessi o (in casi nient'affatto rari) con l'attivazione di percorso privatodi studi.

Quindise moltissimi giovani con storia adottiva riescono negli studi è anche perchéloro stessi e le loro famiglie rendono possibile, con grandi sforzi, ilmiracolo della cura delle ferite edel superamento del gap iniziale.

Questoper tutta la durata del percorso di studi, e non solo nella scuola primaria.

Questoimpegno eccezionale va riconosciuto alle famiglie dalla scuola e quei ragazzivadano maggiormente compresi nei loro sforzi.

Diventaallora importante poter comprendere quali possibili difficoltà questi giovanipiù frequentemente affrontano.

 

TRE CHIAVI DI LETTURA

 

A mio parere 3diversi aspetti giocano un ruolo importante nella riuscita scolastica dell'adolescentecon storia adottiva nelle scuole secondarie:

1.    Laspecificità del percorso scolastico - formativo prima dell'adozione e le sfidederivanti dalla perdita della L1 a vantaggio della L2

2.    Lapersistenza di fragilità proprie della storia di abbandono e diistituzionalizzazione subita

3.    Ildover fare i conti con il passato

 

Analizzeremociascun aspetto traendone indicazioni di intervento.

 

Primo Focus

La specificità del percorso scolastico -formativo prima dell'adozione e le sfide derivanti dalla perdita della L1 avantaggio della L2

 

Comeprima generica riflessione, è evidente che una inadeguata o del tutto assentescolarizzazione impone un recupero faticoso e lento al figlio adottivo, tantoda compromettere la performance anche alcuni anni dopo l'arrivo.

Insecondo luogo va tenuto conto che anche i bambini che sono stati scolarizzatidevono affrontare degli ostacoli nel cambiamento. Per i bambini adottati‘grandi' (un numero sempre maggiore) nell'adozione internazionale, questoaspetto si presenta come molto rilevante, almeno negli anni delle medie - primosuperiore.

Inparticolare ritengo utile tener conto:

a.    delladiversità dei metodi di insegnamento utilizzati nelle varie materie nellascuola italiana ed in quella di provenienza. Un esempio è la diversa concezionein paesi come la Russia nell'apprendimento della matematica: il diversoutilizzo dell'apprendimento basato sui problemi, dell'esplorazione edell'indagine, così come dell'utilizzo di contesti di vita reale per rendere lamatematica più pertinente all'esperienza degli studenti o l'utilizzo distrategie di memorizzazione.

b.   dellanotevole diversità nelle regole che definiscono lo ‘stare in classe' nonchè ilrapporto ‘insegnante - docente'. Esempio banale è quello dei ragazziprovenienti da scuole rurali dei piccoli villaggi africani, in cuil'insegnamento si svolge prevalentemente all'aperto, che si ritrovano aconfrontarsi con una concezione scolastica in cui la ‘classe' è il luogoprivilegiato dell'apprendere. O, di diverso tenore, il notevole disorientamentodi quei ragazzi che hanno studiato nella scuola russa, caratterizzata da unaimpostazione molto severa, in cui si da grande importanza alla disciplina, incui gli insegnati tendono ad avere un rapporto con l'alunno basato sullaautorità, sul distacco e sulla costante valutazione dell'apprendimento. O anche,sempre a titolo di esempio, la difficoltà di quei ragazzi che nel Paese diprovenienza erano stati inseriti nelle scuole speciali (perché portatori di undisagio o di un handicap), che si ritrovano ora inseriti (finalmente, ma anchecon qualche difficoltà) in contesti basati sulla integrazione e sullavalorizzazione delle differenze;

c.    delcambiamento dei riferimenti: avvenimenti, luoghi, nomi di popoli e personaggiproposti nelle nostre scuole sono molto distanti rispetto a quelli appresi nelPaese di origine. Quello che devono riuscire a fare questi ragazzi giàscolarizzati, è un difficile ri-orientamento, troppo spesso sottovalutatonell'impegno cognitivo che richiede. Per comprendere cosa intendo, posso fareun semplice esempio: non c'è da stupirsi se un ragazzo che proviene dall'India,arrivato in Italia da pochi anni, fa fatica a trovare il suo paese di originesu una cartina geografica (percependo di rimando una notevole confusione),essendo stato abituato per molto tempo ad una diversa rappresentazione delmondo, non eurocentrica, ma con il continente Asiatico al centro delplanisfero.

 

Infinemerita una riflessione particolare l'esperienza di aver lasciato la proprialingua madre primaria in sostituzione con la lingua madre secondaria.

 

Impararela L2+

Sappiamo bene che l'apprendimentodelle nuova lingua nell'adottato è molto veloce.

Gli adottivi dimenticano quasicompletamente la propria lingua d'origine nel giro di poche settimane, primaancora di acquisire la lingua adottiva. E quasi tutti gli adottivi apprendonola nuova lingua così bene da non presentare un accento che tradisce la loroprovenienza.

A differenza dei bambini di famigliemigranti gli adottivi non sono affatto bilingui, se non per un brevissimoperiodo all'inizio dell'adozione. La capacità ricettiva può perdurare a lungo,ma in capo ad un anno ogni uso funzionale della lingua d'origine viene aperdersi, e a volte anche prima.

Molti studi hanno analizzato le ragioni diquesto oblio, concludendo che dimenticare la lingua madre è premessaindispensabile dell'integrazione nella famiglia adottiva e nella nuova cultura.

Nonappartenere più - nuova appartenenza

Madrelingua, è la definizioneche "universalmente" si da alla prima lingua che gli individui cominciano aparlare. Queste immagini verbali esprimono suggestivamente l'idea che "lafunzione del linguaggio venga ‘presa' e appresa attaccati al seno materno, insieme al latte".

L'esperienza di cambiamentocatastrofico che l'adozione rappresenta ha in sé un elemento di grande vitalitàche si esprime proprio inizialmente nella necessità di apprendere la linguafamiliare sostituendola del tutto alla prima, tanto da poter essere definita lingua materna secondaria (chepreferisco distinguere dalla seconda lingua chiamandola L2+).

La lingua materna secondari (L2+),andandosi a sostituire del tutto alla L1, diventerà anche la lingua interiore; quell'unicalingua che può dare parole alle esperienze della vita, successiva ma ancheprecedente l'adozione.

La nuova lingua, emblema del sistemadifensivo che il bambino mette in atto rispetto alla sua vita precedente,diventa significante della nuova appartenenza. Offre l'opportunità di stabilireun nuovo autoritratto che può soppiantare le antiche immagini: E' ‘nuova identità'.

Ma c'è un prezzo da pagare per questo.

Il rischio che si corre è quello diuna scissione che si opera proprio attraverso la lingua, e che riguardal'identità: la lingua adottiva viene a delimitare proprio quella frontiera trail se e il non-se, può diventare la protezione dietro cui difendere la propriaidentità profonda e quindi può essere un espediente per mutilare il propriomondo interno (seppure contemporaneamente rappresenta un'ancora di salvezza, unrifugio per ‘rinascere'), le immagini a cui non si vuole - può più accedere.

La L1 rappresenta per il figlioadottato l'origine perduta, il radicamento impossibile, "la memoria a perpendicolo, il presente in sospeso" si esprime - percosì dire- con il silenzio, attraverso la mancanza di parola.

Diviso tra due lingue, quella maternatenuta nascosta ed inaccessibile, e quella nuova, appresa ma a volte inefficacea descrivere il pensiero piuttosto che il mondo, il ragazzo preferisce non parlare. Un silenzio, dunque, che metteanche al riparo dall'imbarazzo di non essere capiti o di commettere deglierrori.

 

Dice Igor, 20 anni, V° superiore: "a volte mi mancano le parole. Mipiacerebbe disegnare, a volte è quasi più facile scrivere che parlare"

 

Dice Anica, 16 anni, 1° superiore: "dottoressa ti posso scrivere su facebook, miviene meglio. Io non so parlare"

 

Dice Violeta, 16 anni, II° superiore: "Se mi fanno fare il compito scrittocapisco meglio, le parole scritte hanno più senso .... Puoi chiedere alprofessore se mi interroga per iscritto?"

 

Forse diventa piu' facile scrivere cheparlare perché per alcuni bambini adottati in età pre-scolare o mai/malscolarizzati, la scrittura è esperienza ‘primaria' nel post adozione, non haconcorrenti, e quindi può essere più facilmente depositaria di emozionialtrimenti indicibili nelle nuove parole.

 

... Ma quale italiano parla?

 

La letteratura sull'argomento distingue trale basic interpersonal communicativeskills, ossia il vocabolario di base e la padronanza delle espressioniquotidiane - abilità linguistiche usate nella conversazione comune che gliadottati padroneggiano molto bene -, e le cognitive/academiclinguistic abilities, usate in un linguaggio più astratto e necessario perl'apprendimento scolastico: per queste sono necessarie una grammatica piùraffinata e un vocabolario più ampio, che padroneggia sinonimi e contrari.

A questo proposito rilevo, dopo circa un annodi scolarizzazione, il ricorso frequente alla richiesta di interventologopedico, proprio quando al bambino sono richieste competenze linguistichepiù avanzate perché inserito a scuola.

Ma è soprattutto nelle classi superiori dellascuola dell'obbligo che queste difficoltà emergono massicciamente, a causa diuna maggiore pressione all'utilizzo di un lessico specialistico, spesso lontanodalla lingua comune.

Alcuni adolescenticon storia adottiva evidenziano inoltre difficoltà nello studio delle singolematerie, più in generale, per la fatica di intendere concetti astratti e per ilgap nella comprensione del significato globale di un testo. Le cause sono lapresenza nei testi scritti, sempre più articolati, di termini polisemici o dellesinonimie[1]o, per alcune materie specifiche come nel caso della storia, per le particolaricaratteristiche morfosintattiche: una sintassi molto complessa, che vede l'usofrequente del gerundio, del participio passato, di forme passive edimpersonali.

Quegli stessi ragazzi sono invece capacidi gestirsi molto bene in situazioni di linguaggio comune.  

Si può pensare che queste difficoltànell'uso scolastico della L2+ riguardi i ragazzi adottati più tardivamente.

Gli studi da più parte ci dicono cheil gruppo di adottivi più a rischio nell'apprendimento della nuova lingua sono,al contrario, i bambini adottati tra iquattro e gli otto anni, e non i bambini adottati ‘grandi'. Quandol'adozione è avvenuta prima dei quattro anni, i bambini hanno davanti a sé unperiodo lungo di apprendimento prima di entrare a scuola, mentre i bambini dipiù di otto hanno già imparato a leggere e a scrivere nella lingua madre epossono pertanto trasferire alcune abilità cognitive nella nuova lingua. Mentre,gli adottati tra i quattro e gli otto anni si trovano in una fase in cui illinguaggio dovrebbe essere consolidato, ampliato, mentre si trovano ‘a doverricominciare da capo'.

Spesso i genitori adottivi, stupiti esoddisfatti per i rapidi progressi in abilità comunicative di base, non sirendono conto del bisogno di un supporto linguistico ulteriore. Quando ilproblema diventa evidente, questo richiede uno sforzo di recupero maggiore.

E il tempo in cui ci si pone ilproblema, sovente coincide con le maggiori richieste di prestazione propriedella scuola media o ancor più superiore.

In quegli anni, a volte lontani dall'eventoadottivo, lo sforzo richiesto ai ragazzi, sia a scuola sia a casa (nei percorsidi recupero pomeridiano) facilmente trascura una analisi del percorsoaffrontato (in termini di apprendimento, di sviluppo linguistico, di competenzecognitive e di gap relativi) e centra invece sulle singole materie daapprendere e sul rendimento conseguente.

Quali interventi, quali strumenti, quale modalità?

I genitori adottivi sono molto interessatialla vita scolastica del figlio, certamente perché (come spesso si dice) nefanno anche un metro della adeguatezza del ragazzo alle aspettative di una vita‘sana' e di loro stessi in quanto genitori ‘adeguati'. Ma obiettivamente chirileva delle fragilità nel figlio non può sottrarsi al grande impegno intermini di tempo, energie e costi per sostenerlo al fine di una riuscitaadeguata. Tutto questo andrebbe maggiormente riconosciuto dal sistemascolastico, affinché la famiglia si possa sentire sostenuta in un percorsoCONDIVISO.

Occorredal canto suo che la scuola possa uscire da una logica del ‘profitto' e inalcuni casi (e gli adottivi sono tra questi) premiare il movimento, prima ancora cheil risultato.

Chiediamoci:da dove partono questi ragazzi? Quale percorso hanno svolto sinora?, cherisultati hanno ottenuto e, in previsione, quali risultati ci aspettiamo?Quanto tempo hanno ancora?

Questosignifica fare un progetto condiviso scuola - famiglia.

 

RobertaLombardi:Psicologa, Psicoterapeuta sistemico-relazionale e Giudice Onorario Tribunaleper i Minorenni di Roma, si occupa da 20 anni di adozione. E' presidentedell'associazione Contuttoilcuorefamiglie, per l'orientamento, il sostegno e lacura delle famiglie adottive (www.contuttoilcuorefamiglie.it)

 



[1] Per terminipolisemini si intende quelle parole che possono assumere un significato diversoda quello che viene loro attribuito nel linguaggio comune  - es. ‘scala' in geografia - e possonopresentare accezioni diverse a seconda del contesto e del tempo.

Lesinonimie, invece si verificano quando uno stesso concetto viene espresso contermini diversi all'interno dello stesso testo

Mailing list
Iscrivetevi alla sede a voi più vicina. Riceverete anche le notizie nazionali più rilevanti.

email:

sede (opzionale):


Notiziario

Adozione e dintorni
maggio-giugno 2016



Collana GSD
Edizioni ETS


Consulta la collana
Edizioni ETS