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Ed è subito strada

Autore/i: Sonia Oppici

Data: 22-11-2007
Argomento: Minori

Bruno è arrivato con la faccia sporca, gli occhi che scavano e il sorrisetto strafottente che sfida ogni tentativo di accudimento.
Ha pochi anni ma la rabbia è quella di un adulto. Sputa e tira calci.
Non è facile stargli vicino. Lui in comunità non ci vuole stare e ogni tua distrazione diventa una sua occasione di fuga. Le prova tutte. Porte, cancello, finestra. E noi a rincorrerlo. A nascondergli le scarpe pensando che una corsa a piedi nudi possa dissuaderlo dalla voglia di casa.
Bruno parla un italiano ruvido. È indisponente, maleducato.
Fiero e silenzioso ti fa capire che non gliene importa.
L’hanno preso mentre borseggiava una signora in metropolitana. È la quarta volta in un mese. In tasca un coltellino, un cellulare e un pacchetto di caramelle gommose. Gusto cappuccino.
Finalmente lo convinciamo a farsi un bagno. Quando esce, ripulito, ha un aspetto meno minaccioso.
Azzardo qualche domanda…
Con parole incerte mi dice che il campo rom in cui vive non è lontano.
Che non va a scuola.
Che non stava rubando. Che sono i poliziotti che ce l’hanno con lui.
E che gli sto facendo perdere tempo perché arriverà in ritardo per la cena.
“Puoi cenare da noi…” fa una smorfia con la linguaccia e quando, più tardi, gli riempio il piatto si volta di spalle e non tocca cibo.
Arriva la sera e di mettersi il pigiama non se ne parla. Spengo la luce e lui è ancora vestito.
Si infila sotto le coperte. Con gli occhi spalancati.
Sono certa che tenterà di scappare e resto vigile. Infatti, dopo poco, si alza e si siede sul divano, pericolosamente vicino alla porta. Io di fianco a lui.
Non una parola.
Alla fine il sonno vince entrambi e ci risvegliamo in piena notte . I suoi piedi premuti contro la mia pancia. “ Ora posso tornare a casa? Mi chiede.
Io sfinita: “E se invece andassimo a letto e ne riparliamo domattina ?”
“Va bene. Torno a casa domani mattina”.
Arriva il secondo giorno e anche il terzo. Arrivano i primi racconti di come si vive al campo, dei ragazzini che ascoltano la musica, che si fidanzano a dieci anni e si sposano a quindici.
Perché quando sei un uomo, nessuno può più dirti quello che devi fare.
Parla di come cucina la mamma e ti chiede in continuazione per quanto tempo dovrà restare. Lo assicuriamo che i genitori sono stati informati del fatto che sta bene e che non c’è motivo di preoccuparsi. Tra qualche giorno verranno a trovarlo.
Bruno non riesce a capire cosa stia accadendo alla sua vita.
Cosa sia il Tribunale, il giudice, cosa abbiano fatto di sbagliato i suoi genitori e perché non possa rivedere i fratellini.
Mi chiedo se abbia un senso spiegarglielo.
Dopo una settimana non è più necessario marcarlo stretto…
Qualche gioco con gli altri ragazzini del gruppo. Qualche mezzo sorriso. Seduto a tavola, ingoia senza quasi masticare, e qualche volta, si mette in bocca un’arancia intera tra lo stupore e l’ammirazione generale degli altri, che ci provano ma rischiano di soffocarsi.
In alcuni momenti lo vedi con la testa fuori dalla finestra, a respirare un po’ del mondo a cui è stato sottratto.
“Ti manca il campo?”
“Si… Potresti accompagnarmi almeno per salutare…”
“Non si può... Lo sai”.
“Non si può fare niente. Ma come fate a vivere così?”
“Non è poi così male vivere così…”
“È una prigione. Però si mangia bene”.
Il pomeriggio successivo è inquieto.
Ipervigile, aspetta il momento giusto e corre velocissimo.
Tentiamo l’inseguimento. In un lampo è davanti al portone.
Aperto. Perchè gli altri bimbi stanno rientrando da scuola.
Ed è subito strada.
Si volta e, per la prima volta, spalanca la bocca in un sorriso bellissimo.
Bruno è davvero bellissimo. Me ne accorgo solo ora mentre mi fa ciao con due mani e urla un “grazie”. Ci metto un po’ a capire se è una presa in giro.
Non lo è. Dopo due giorni, lo ritrovo alla portineria della comunità. E non è solo.
Mi saluta e, indicandomi l’amico, spiega: “Gli volevo far vedere dove sono stato. Non ci credeva che è bello e che voi trattate bene i bambini. Possiamo mangiare qui?”
A fine pasto mi chiedono due biglietti della metropolitana: “Così i poliziotti non pensano che siamo ladri”. Lo scherzo
non è divertente. Lo capiscono e Bruno precisa che non ha più rubato.
Ovviamente non gli credo.
E mi domando se davvero nulla vada perduto.
Decido di sì. Almeno per oggi.
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