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Autore/i: Donata Micucci

Data: 15-02-2006
Argomento: Sociale e legale

A che livello e con quali interlocutori, dovrebbero essere attivate eventuali nuove strategie avanti alla realtà dell’infanzia in stato di abbandono?
E l’adozione nazionale ed internazionale che ruolo hanno?

Ancora oggi troppi bambini, nonostante la legge 184/1983 e successive modifiche, preveda il superamento del ricovero n istituto entro il 31 dicembre 2006, vedono negato il loro fondamentale diritto a crescere in una famiglia: in primo luogo in quella in cui sono nati e, quando ciò non sia possibile, in una famiglia affidataria o adottiva a seconda delle situazioni.
Purtroppo questo diritto affermato anche a livello legislativo, non si traduce in diritto realmente esigibile in quanto gli interventi di aiuto e alla famiglia di origine, di promozione dell’affidamento familiare e di sostegno delle adozioni di bambini grandi, malati o handicappati, sono limitati dalla stessa legge alle “risorse finanziarie disponibili” Per garantire ad ogni bambino questo suo fondamentale diritto, è indispensabile sollecitare pertanto Parlamento, Regioni e Entri locali e la magistratura ad un impegno più incisivo in questo campo.
E’ necessario che le regioni assumano i provvedimenti necessari per obbligare i Comuni singoli o associati ad istituire e garantire interventi alternativi al ricovero in istituto e d’aiuto alla famiglia, quali quelli sopra richiamati. Le regioni dovrebbero – finalmente – deliberare in merito all’attivazione di una anagrafe regionale dei minori ricoverati nelle strutture residenziali (istituti e comunità alloggio di tipo familiare), anagrafe che dovrebbe essere costantemente aggiornata consentendo in tal modo un monitoraggio continuo dei minori presenti e una programmazione mirata degli interventi alternativi (aiuti alle famiglie, affidamenti, adozioni ecc.) E’ scandaloso dover constatare come, nell’era della tecnologia e dell’informatica questa anagrafe sia stata attivata solo in tre Regioni (Lombardia, Piemonte, Veneto). Fondamentali inoltre sono le competenze della magistratura minorile in materia di vigilanza e controllo sugli istituti e sulle comunità, e sulle condizioni di vita dei minori in essi ricoverati.
Nel campo specifico dell’adozione, abbiamo assistito in questi ultimi anni ad un preoccupante spostamento dell’attenzione dei nostri legislatori, non più mirata alla piena attuazione del diritto fondamentale e prioritario del bambino ad avere una famiglia, ma più orientata a soddisfare le richieste di adulti desiderosi di adottare un figlio. Si sta sempre più verificando una preoccupante tendenza a svalorizzare il reale significato dell’adozione quale forma di piena e “vera” genitorialità. Ne sono un segno preoccupante il recente disegno di legge governativo fortemente sostenuto dal Ministro Prestigiacomo consentente norme in campo di adozione e affidamento internazionale, che fanno venire meno la tutela del diritto del bambino senza famiglia ad essere inserito in una famiglia idonea, disegno che è stato approvato – a maggioranza - in tutta fretta, dalle Commissioni Giustizia e Speciale Infanzia del Senato pochi giorni prima di Natale (fortunatamente la fine della legislatura ne ha impedito la sua approvazione definitiva in Aula). Altrettanto pericolose sono le proposte di legge che sono stato oggetto di discussione alla Commissione Giustizia della Camera a firma dell’On. Burani Procaccini e dell’On Bolognesi contenenti norme tendenti ad introdurre nel nostro ordinamento l’istituto dell’adozione aperta o “mite” e dell’affidamento familiare internazionale.
Nulla invece è stato fatto per l’effettiva entrata in vigore del nuovo procedimento previsto dalla legge 149/2001 che stabilisce un nuovo e più celere procedimento per l’accertamento dello stato di adottabilità dei minori. Un aspetto indubbiamente positivo di questo nuovo procedimento sono l’eliminazione di un livello di giudizio (e cioè del ricorso previsto presso lo stesso Tribunale per i minorenni) e la definizione di tempi certi per la dichiarazione definitiva dell’adottabilità. Il nuovo procedimento avrebbe dovuto entrare in vigore entro giugno del 2002, ma siamo già arrivati alla quarta proroga e con un nulla di fatto…….
Non è stato neppure risolta, nonostante le numerose segnalazioni fatte in proposito al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e alla Commissione parlamentare per l’infanzia la questione relativa a una piena attuazione del diritto ad usufruire dei congedi parentali obbligatori e facoltativi da parte dei genitori adottivi e affidatari. Infatti i genitori adottivi di un bambino italiano hanno diritto al congedo obbligatorio unicamente se il minore alla data di ingresso nella famiglia, non ha superato i 6 anni di età e ai congedi facoltativi se il minore non ha un’età superiore ai 12 anni. I genitori adottivi di un bambino straniero invece hanno diritto al congedo obbligatorio, qualsiasi sia l’età del figlio, mentre anche per loro il congedo facoltativo è limitato ai 12 anni di età del minore. Abbiamo richiesto più volte, senza alcun risultato, che, per un’effettiva tutela dei minori adottati già grandicelli venisse estesa la normativa in vigore a tutti i genitori adottivi, indipendentemente dall’età e dalla provenienza dei minori accolti. Ben poco viene fatto per dare risposta ai numerosi bambini dichiarati adottabili e che non sono stati adottati. Dai dati disponibili forniti dal Ministero di Grazia e giustizia risulta che dal 1993 al 200 (ultimi dati disponibili) sono stati dichiarati adottabili 9926 minori e nello stesso periodo sono state pronunciate solo 7152 adozioni. Che fine hanno fatto i minori che non sono stati adottati? In via informale spesso ci è stato detto da alcuni giudici e operatori sociali che si tratta di minori gravemente handicappati o malati o già grandicelli: alcuni di loro sono rimasti nella famiglia affidataria o nella casa famiglia in cui vivevano al momento della dichiarazione di adottabilità, Molti, purtroppo sono ancora ricoverati negli istituti e nelle comunità, in centri riabilitativi o in altre strutture sanitarie in quanto non si sono trovate famiglie disposte ad accoglierli.
Ma quanto si è fatto per cercare, preparare e sostenere eventuali disponibilità? Una coppia che si accosta all’adozione difficilmente, e comprensibilmente, pensa spontaneamente a un bambino handicappato o gravemente malato: di fronte a lui si sente investita da una responsabilità e da un impegno molto grandi. Amministratori, molti operatori sociali e gli stessi giudici, con alcune lodevoli eccezioni, convinti a priori della difficoltà di trovare famiglie disponibili anche per questi bambini, spesso non le cercano e si arrendono con molta facilità, e fanno poco per sensibilizzare l’opinione pubblica e la comunità sociale a questo problema.
Il bambino diverso trascorre così la sua infanzia senza alcun legame vero: si cerca di assisterlo o di curarlo dal punto di vista sanitario-riabilitativo, perdendo di vista il fatto che spesso l’handicap o la malattia sono anche aggravati dalla sua condizione di solitudine e di abbandono. Fortunatamente non sempre la storia di questi bambini si conclude stesso modo: alcuni di loro sono stati accolti dalle braccia amorevoli di una mamma e di un papà. In base alle esperienze positive finora realizzate (esemplare, a questo riguardo, è quella di Nicola descritta dalla sua mamma adottiva (Giulia Basano in “Nicola, un’adozione coraggiosa”, Rosenberg ed.), riteniamo che l’adozione di un bambino gravemente malato, handicappato o grandicello, non possa riuscire contando unicamente sulla disponibilità della famiglia, ma che sia indispensabile una rete di rapporti umani e sociali intorno ad essa che arricchisca la vita del nucleo familiare e ne impedisca l’isolamento. E’ necessario l’aiuto e il sostegno della comunità scolastica, della comunità cristiana e civile, che sappia a sua volta accogliere ed integrare al proprio interno il bambino, evitando la sua emarginazione.
Questo però, non è sufficiente: molto dipende anche dai servizi che le istituzioni preposte sanno mettere a disposizione di queste famiglie Per una buona riuscita di queste adozioni è indispensabile, oltre al lavoro di sensibilizzazione della comunità e di reperimento delle famiglie, un sostegno continuato nel tempo da parte degli amministratori e degli operatori che garantisca un aiuto psicologico, i necessari interventi riabilitativi, un corretto inserimento scolastico, il collocamento lavorativo nei casi in cui il minore, superata l’età dell’obbligo scolastico, ne abbia le capacità, e un adeguato contributo economico.
Significativa dell’ attenzione delle istituzioni verso questi nostri piccoli, è il fatto che fino ad ora, ad eccezione del Piemonte non stato assunto dallo Stato e dalle regioni, alcun provvedimento a sostegno delle adozioni “difficili” in attuazione a quanto auspicato dalla legge 184/1983 e s.m.
Per far sì che il diritto di ogni bambino a crescere in una famiglia non rimanga una vuota affermazione di principio, ma si traduca finalmente in realtà, è fondamentale che tutti noi sappiamo, ognuno con le proprie particolarità e disponibilità, farci carico di questo problema, così come è necessaria l’attivazione e l’impegno di tutta la società civile e, in particolare, delle associazioni di solidarietà familiare.

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