Recensioni

Che cosa hanno in comune Edipo, Mosè, Gesù, Romolo e Remo? Ripercorrendo le loro storie, punti di riferimento essenziali per la nostra cultura, l'autore rivisita il senso profondo dell'adozione, convinto che non può essere un caso che all'origine della storia dell'umanità ci siano vicende di bambini allevati da genitori non di nascita. Nell'atto adottivo l'autore ritrova così condensata l'energia, la volontà di vivere a tutti i costi: da parte del bambino, che sopravvive a un destino iniziale talvolta mortifero, da parte dei genitori adottivi, che superano difficoltà e attese estenuanti mettendo in discussione l'identità stessa della famiglia basata sul legame di sangue e infine da parte dei genitori di nascita che, nonostante tutto, mettono in vita il figlio.

Nella nuova prospettiva esplorata da Pierron, così, l'abbandono è alla base di un dono che inaugura un tipo di legame con l'altro che non è né captazione né predazione. E l'apparente fragilità del dono ne costituisce in realtà la forza, perché un dono è inatteso e imprevedibile, come lo è sempre il figlio, anche biologico, che abita in una famiglia.

Con l'atto adottivo risulta allora evidente che l'affiliazione, il riconoscersi e accogliersi come genitori e figli, è in realtà l'unico modo per intendere e vivere in autenticità un rapporto che non può essere contraddistinto dalla proprietà. Analogamente, l'attaccamento, inteso dall'autore come unione di emozioni, è sempre successivo alla procreazione e non deriva automaticamente dalla convivenza familiare: un genitore non è di per sé un padre. Il genitore diventa padre in un moto di conversione della nascita in riconoscimento.

L'autore restituisce così piena dignità al legame adottivo che insegna un modo diverso di pensare la famiglia, mettendo a nudo la fragilità di tutte le relazioni genitori-figli che richiedono sempre la libertà di un riconoscimento reciproco.