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Il fuoco della notte

Autore/i:
Sabrina De Fazio

Data: 24-09-2006
Argomento: Storie

Il buio è ormai calato, accanto al fuoco il vecchio Boris ascolta i rumori della notte.
I grilli, il ruscello in lontananza, una madre canta una ninna nanna mentre un piccolo piange.
Gli piace restare lì da solo, vicino al fuoco, mentre tutti sono rientrati per la notte; gli sembra quasi che quei rumori lo aiutino a ricordare, a non dimenticare.
Si volta, passi leggeri dietro di lui…
“Non dovresti dormire a quest’ora, Ivan?”
“Nonno… nonno mi racconti la storia? Ti prego nonno, non ho sonno… raccontamela ancora una volta la nostra storia, la storia della nostra gente”.
Ivan si siede in terra accanto al vecchio, prende il braccio di Boris e se lo sistema attorno alle spalle.
Non vuole ammetterlo ma la notte a lui fa un po’ paura, tutto assume un aspetto un po’ sinistro e perfino lo scorrere dell’acqua del ruscello gli sembra un sospiro minaccioso.
“C’era una volta… un popolo che nelle lontane indie aveva le sue origini. La gente di questo popolo amava viaggiare, su carovane trainate da cavalli si spostava di regione in regione, di paese in paese. Delle loro tradizioni così antiche, ne facevano mestieri… ramaioli, fabbri, maniscalchi e domatori di cavalli, giocolieri e maghe.
Ad ogni sosta di carovane, sguardi diffidenti…ad ogni partenza, sguardi di sollievo.
Gli abiti così particolari e colorati, le usanze strane per la gente di città e anche per i contadini delle campagne, facevano sì che spesso li evitassero o addirittura li cacciassero, con la scusa del baccano, del disordine che creavano le carovane durante la loro sosta.
Un giorno un re decise che nel suo regno dovevano vivere solo le persone “giuste”…già ma quali erano le persone “giuste”? Qualcuno si chiese come lo avrebbero stabilito dato che siamo tutti giusti, allo stesso tempo con qualche particolare un po’ strano.
Il re aveva le idee ben chiare: i “giusti” erano quelli di razza pura. Qualcuno provò a fargli notare che non esistono razze…il re non lasciava terminare le frasi e li puniva severamente così che nessuno osava più contraddirlo.
Questo re stabilì che alcune genti non dovessero più stare in libertà né lavorare né viaggiare né studiare…e così pure per alcuni malati e fece costruire dai suoi soldati delle grandissime prigioni e cominciò a mandare battaglioni in giro per le città del suo regno per cercare ed arrestare quelle genti. Bè…non erano sempre veri e propri arresti, a volte si, a volte no.
Per la nostra gente, ad esempio, il re tramò un inganno. Promise loro una casa vera, un lavoro vero.
Non tutti quelli del nostro popolo erano convinti…era gente abituata a viaggiare, a spostarsi…a tanti il pensiero di un posto e sempre solo quello faceva venire la malinconia ma poi pensarono alla vecchiaia, ai figli…e così si fecero convincere.
Caricarono tutta la gente su treni e su camionette e la portarono ai campi. Sì perché non erano vere e proprie prigioni, in effetti la nostra gente al contrario di altri popoli arrestati dal re, restava unita e le famiglie restavano tali…per il momento. Dissero che lì era provvisorio, che le case erano in costruzione, per ora vivevano lì in gruppo in grandi baracche…ma almeno le mamme erano coi figli, i mariti con le mogli.
Durò poco.”
Il vecchio Boris sussultò…il ricordo di una voce, come una lama tagliente…
“ZIGEUNER !”
“nonno…nonno cosa c’è? Perché non continui?”
Il vecchio sentiva ancora quella voce, la sera, al buio accanto al fuoco…come una lama.
“Ti dicevo, durò poco. Gli uomini vennero divisi dalle donne le quali, sempre per ordine del re, dovettero subire un’operazione perché non era bene che facessero altri figli, secondo lui.
In una di queste baracche viveva il piccolo Boris insieme alla mamma e alla sorella più piccola.
Boris aveva imparato a suonare il violino dal nonno e dal papà, era bravo e lui lo sapeva. Se ne
vantava anche un po’.
Aveva portato il suo amato violino con sé e le guardie sentendolo suonare, rimasero stupite di quanto fosse bravo. Fu così che il piccolo Boris veniva chiamato dai capi delle guardie perché suonasse alle loro serate di svago.
I capi non vivevano nelle baracche ma piuttosto in case vere e proprie con tanto di tappeti e camerieri, a volte c’erano invitati e dicevano a Boris di mettersi a lato della camera da pranzo e suonare il repertorio mentre gli altri mangiavano e si intrattenevano.
Non era poi così male, a volte gli davano anche qualcosa da mangiare ed erano cibi che lui non aveva mai mangiato. Un paio di volte capitò che qualche bambino vestito di tutto punto gli lanciasse dei biscotti come se lui fosse un cane, per gioco.
Il violino fu la salvezza del piccolo Boris.
La maggior parte della sua gente, nei campi costruiti dalle guardie del re, venne uccisa.
Sua madre fu uccisa, anche sua sorella.
Non lo dissero a Boris, il comandante di quel campo venne trasferito e volle portarsi Boris al seguito, perché continuasse ad allietare le sue serate.
Una notte Boris fuggì da Berlino, il re non governava più quel regno, il mondo intero capì quali orrori erano stati commessi, lui tornò tra la sua gente…quella rimasta.
Vedi Ivan…il nostro popolo è stato vittima di una persecuzione razziale, da sempre siamo ghettizzati e non accettati…e noi mai abbiamo fatto guerre, mai siamo entrati nelle città e nei paesi con la forza. Nessun risarcimento per il nostro popolo, per le morti subite, per le torture inflitte da quel re. In pochi lo ricordano e non per nulla lo chiamano “lo sterminio dimenticato”.
Sii orgoglioso Ivan, porta fiero il tuo nome e fai conoscere il nostro popolo e la nostra storia. La dignità di un uomo non passa attraverso buoni abiti e belle case. Non stancarti mai di raccontare, di spiegare la storia dei Rom.”
Il vecchio Boris chinò il capo e osservò Ivan, gli occhi chiusi e il respiro regolare…si era addormentato. Non se ne crucciò, la storia… quella storia, era la preferita di Ivan che la conosceva ormai a memoria. Guardò il fuoco e si asciugò gli occhi con fare un po’ impacciato, dopo tanti anni ogni volta la lama era ugualmente
dolorosa, volse lo sguardo alle stelle e le ringraziò per aiutarlo a ricordare. A non dimenticare.
“ZIGEUNER !”
Zingaro.
Quella voce lo accompagnerà per sempre, ogni sera, fino alla fine.
Anche la lama e il dolore aiutano Boris a non dimenticare.

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