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Ti ho chiamato figlio. Lettera a una donna che vorrebbe essere madre
A cura di: Antonio FatigatiData: 22-12-2010
Argomento: Parlare di adozione
E' un uomo che ha preso il coraggio di scrivere a una donna, a tutte
le donne, Antonio Fatigati. L'argomento è dei più incandescenti, essere e
diventare madri. O "desiderare di diventare" madri.
Autore di commedie teatrali, giornalista, padre di due ragazzi, fondatore dell'associazione Genitori Si Diventa - una
delle più interessanti realtà italiane impegnate nell'accompagnamento
delle famiglie adottive - Fatigati si augura sinceramente che la sua lettera-libro, intitolata "Ti ho chiamato figlio" (edita da ETS per la collana Genitori Si Diventa) venga letta soprattutto "dalle donne in gravidanza".
Radiomamma: Quanto è difficile parlare di maternità a una donna?
Antonio Fatigati:
Questa lettera è il risultato di un percorso, direi il compimento di
una maternità da parte di un uomo. Ed è il risultato di tanti anni di
contatto con i problemi genitoriali. L'essere padri e madri è ciò che
più di profondo ci riguarda. Non è stato faticoso scriverne. Il
desiderio di avere figli è un pensiero che non ha genere, riguarda il
voler essere nel mondo attraverso di loro. Paradossalmente la donna,
attraverso il fattore biologico, fatica di più a sviluppare quella
riflessione, che porta al riconoscimento del figlio come "altro da sè".
Radiomamma: Ti ho chiamato figlio perché ho fatto una scelta.
Fatigati:
Esattamente. Una scelta che prescinde dall'averti generato oppure
adottato, ma perché riconosco la tua soggettività, ti scelgo e continuo a
sceglierti per ciò che sei, non perché sei "mio".
Radiomamma: Dunque non si è madri solo perché si genera.
Fatigati:
E' un'affermazione forte, lo so, ma è vera. Madri, e anche padri, non
si nasce. Si diventa. Con una determinazione che ci accompagna giorno
per giorno, che chiede alla coppia di essere salda e affiatata per
affrontare tentazioni e difficoltà. Ed esprimere un amore che è davvero
un dono, che non chiede alcuna retribuzione ed è totale.
Radiomamma: A un certo punto, nella sua lettera, dice che i genitori adottivi sono dei supereoi.
Fatigati: Certo,
non in calzamaglia e dotati di superpoteri, ma perché sono in qualche
modo costretti a cercare dentro di sè, fin dall'inizio, motivazioni
originali, forti e definitive alla genitorialità. Motivazioni non
biologiche, che non hanno a che vedere con la somiglianza fisica o con
la straordinaria esperienza del parto. Insomma, devono dirsi madri e
padri con un viaggio dentro loro stessi che non è richiesto a chi
partorisce.
Radiomamma:
Ma il loro desiderio di essere padri e madri non si scontra, a volte,
con l'ipocrisia di un sistema in cui si ha quasi "paura" di ammettere di
volere un bambino?
Fatigati: In realtà è un
desiderio che non si riesce ad ammettere più con se stessi che con gli
operatori che si occupano di adozioni. Loro, infatti, aspettano
pazientemente che arrivi questa ammissione. Nel frattempo, avvengono
dialoghi quasi surreali in cui la coppia elenca tutti i motivi
"ufficiali" dell'adozione: il "mandato sociale", per cui l'adozione deve
essere l'ultima spiaggia per un bambino. O l'ammissione che un figlio
non nato non può essere sostituito, che il lutto della sterilità è stato
elaborato, che va bene qualsiasi bambino, di qualsiasi età, di
qualsiasi etnia...
Radiomamma: Ma a quel bambino che sarà adottato, alla fine, cosa serve?
Fatigati: Servono due che vogliono essere, prima di tutto, padre e madre.
Radiomamma: La scienza oggi apre confini incredibili alla possibilità di generare. Come la pensa su questo?
Fatigati: Penso
che sia pericoloso. Più forzi la biologia, allontanandoti dal punto di
origine, più fatichi a raggiungere il punto di arrivo, cioé ammettere
che il figlio è "altro da te".
Radiomamma: Pensa che in Italia ci sia sufficiente
cultura della genitorialità, a prescindere dal fattore biologico? Esiste
un fair play legato all'adozione oppure no?
Fatigati: Mi
sa che a questo dobbiamo rinunciare: mi pare che si fatichi ancora
molto a scindere l'amore genitoriale dal fattore biologico. E questo è
un fallimento della nostra cultura e anche delle religioni. L'amore
verso un figlio e la capacità di essere padri e madri prescinde da
questo. E tutti, in qualsiasi modo siamo diventati genitori, ci
misuriamo ogni giorno con questa spaventosa, meravigliosa sfida.
Intervista di Benedetta Verrini