GSD Informa
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Risponde l'associazione Genitoriche
Autore/i: Monya FerrittiData: 15-02-2006
Argomento: Sociale e legale
A che livello e con quali interlocutori, dovrebbero essere attivate eventuali nuove strategie davanti alla realtà dell’infanzia in stato di abbandono?
E l’adozione nazionale ed internazionale che ruolo hanno?
Il 14 dicembre scorso è stato presentato il Rapporto Unicef "La condizione dell'infanzia nel mondo 2006 - Esclusi e invisibili" che mette in luce la condizione dei bambini estromessi in diverse maniere dal circuito di protezione, affetto e legalità. Si va dai bambini privi di un'identità ufficiale perchè non iscritti all'anagrafe (circa 50 milioni ogni anno), ai bambini che svolgono prematuramente il ruolo di adulti (come soldati nelle guerre, come schiavi, come baby lavoratori), ai bambini sfruttati (traffico sessuale, di organi, lavoro forzato) e infine ai 143 milioni di bambini orfani. Sono numeri che lasciano senza parole, numeri alimentati dalla situazione socio-economica del pianeta, in cui è evidente una sperequazione fra le condizioni di vita delle persone.
Le adozioni internazionali incidono per una percentuale minima sulla condizione dei bambini nei paesi in cui questa è operata. Si tratta di azioni individuali che hanno come obiettivo solo il cambiamento di vita del bambino destinato all'adozione. La singola adozione non incide sulle condizioni di vita dei minori nel paese d’origine dell’adottato. Negli ultimi anni si è imposto il sostegno a distanza che, insieme alla sussidiarietà che l'ente autorizzato effettua nel paese in cui opera, fatta anche di micro piani di sviluppo economico, può cambiare una piccola realtà locale. Le azioni che invece realmente possono avere un impatto sulle condizioni di vita dei paesi in via di sviluppo sono, ad esempio, quelle congiunte di sostegno al commercio equo e solidale e boicottaggio delle aziende che non tutelano i diritti minimi dei lavoratori o che utilizzano la manodopera infantile, il consolidamento del microprestito, l’incentivazione di modelli di governance più equi, l’abolizione delle misure che favoriscono il dumping e, in particolare, i sussidi alle esportazioni, la cancellazione progressiva del debito estero di tutti i paesi in via di sviluppo. Solo l’azione combinata di questi interventi dal basso, può essere davvero incisiva e configurarsi come un piccolo volàno per il cambiamento sociale del pianeta.
Solo cambiando le condizioni attuali di vita nei paesi in via di sviluppo diminuirà il livello di miseria che spinge le donne ad abbandonare i propri figli per strada o negli istituti. Non pensiamo certamente che sia un fenomeno che scomparirà con il miglioramento delle condizioni sociali in questi paesi, perché sempre le donne potranno partorire e decidere di non occuparsi di un figlio, ma ciò almeno non avverrà con la percentuale che oggi si rileva, e che è legata, a una moltitudine di fattori concatenati quali: la povertà, la mancanza di alternative, il minore accesso all’istruzione delle donne, con tutto ciò che ne consegue.
Altrettanto eterogenee, anche se di diversa natura, sono le strategie che riguardano i minori che si trovano in istituto e/o in stato di abbandono in Italia. A fronte di moltissime dichiarazioni di disponibilità depositate in tribunale, pochissimi sono i bambini in stato di adottabilità, moltissimi i bambini negli istituti.
Il primo strumento che occorre attivare al più presto, ora che è stato adottato il regolamento che ne disciplina le modalità di attuazione e organizzazione, è la banca dati relativa ai minori dichiarati adottabili e alle coppie aspiranti all'adozione nazionale. Attraverso questo strumento sarà possibile individuare con il margine di territorialità nazionale, una famiglia per quei minori che per storia o condizioni sanitarie, hanno maggiori difficoltà. Nuovi strumenti normativi, inoltre, come il DDL “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione aperta” (Burani Procaccini e altri) o il concorrente “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione aperta e di adozione mite” (Bolognesi e altri) potrebbero rappresentare un’opportunità per il collocamento di minori con una situazione familiare particolare, per i quali, cioè, sarebbe possibile prefigurare una adozione che preveda il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine, giudicati in una qualche misura “positivi” e ineludibili anche se non sufficienti a consentire il reinserimento del bambino nell’ambiente familiare. Crediamo che questo nuovo strumento, se utilizzato su base residuale e individuando sul territorio coppie realmente motivate e opportunamente formate, possa costituire una nuova possibilità per tanti minori.
I nuovi strumenti normativi, inoltre, dovrebbero essere affiancati da un utilizzo più consistente della legislazione esistente, come ad esempio l’ex art. 44/d della L.184/83 “Diritto del minore a una famiglia”. L’articolo 44/d recita: “i minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di adottabilità e sia stata constatata l’impossibilità dell’affidamento preadottivo”. In questo modo sarebbe possibile garantire ai piccoli l’opportunità di crescere nella famiglia in cui sono collocati provvisoriamente oltre il termine dell’iter processuale, anche in quei casi in cui la famiglia di origine ne conosca la collocazione (eccetto che nelle situazioni di accertata rischiosità). Poiché non si tratta di un’adozione legittimante, non saranno recisi legami affettivi consolidati pur di mantenere la segretezza sulla collocazione dei minori. Lo stesso può avvenire per quel che concerne i minori per cui è stata constatata l’impossibilità dell’affidamento preadottivo (preadolescenti e adolescenti, grave disabilità fisica o psichica, casi di fallimento adottivo, abusi gravi e complessità in genere). In questi delicatissimi casi è fondamentale che le Regioni si adoperino per avviare la formazione di soggetti che affianchino e sostengano le coppie che offrono la loro disponibilità. Le diverse forme di affido eterofamiliare offrono, inoltre, un discreto ventaglio di possibilità alle istituzioni per il collocamento più adatto del minore in difficoltà, a seconda delle specifiche esigenze del minore stesso: l’affido, anche operato attraverso le famiglie professionali, le comunità di tipo familiare e le comunità di prima accoglienza e recupero. Ciascun contesto deve essere adeguatamente monitorato dai servizi sociali (e/o sanitari) del territorio. I progetti di “famiglie professionali”, caratterizzati dal coinvolgimento della famiglia affidataria nel progetto di recupero della famiglia di origine, dovrebbero essere incentivati nel territorio proprio per la peculiarità stessa del servizio: si tratta di un nuovo modello di affido che ha come obiettivo l’accoglienza di minori in stato di necessità, ma con una storia tale da richiedere una accoglienza qualificata per sostenere alcuni tipi di disagi che altrimenti troverebbero collocazione solo nelle comunità di tipo familiare.
Infine, il sostegno alle associazioni familiari in genere, anche attraverso l’incentivazione di Consulte comunali, provinciali o regionali delle associazioni stesse, è basilare per la costruzione di quella rete di sensibilizzazione della società civile sulle tematiche dell’infanzia in difficoltà; una rete che renderà le persone consapevoli, portando tutti a sentirsi coinvolti, poiché i bambini sono un bene dell’umanità e tutti dovrebbero farsene carico.
di Monya Ferritti
E l’adozione nazionale ed internazionale che ruolo hanno?
Il 14 dicembre scorso è stato presentato il Rapporto Unicef "La condizione dell'infanzia nel mondo 2006 - Esclusi e invisibili" che mette in luce la condizione dei bambini estromessi in diverse maniere dal circuito di protezione, affetto e legalità. Si va dai bambini privi di un'identità ufficiale perchè non iscritti all'anagrafe (circa 50 milioni ogni anno), ai bambini che svolgono prematuramente il ruolo di adulti (come soldati nelle guerre, come schiavi, come baby lavoratori), ai bambini sfruttati (traffico sessuale, di organi, lavoro forzato) e infine ai 143 milioni di bambini orfani. Sono numeri che lasciano senza parole, numeri alimentati dalla situazione socio-economica del pianeta, in cui è evidente una sperequazione fra le condizioni di vita delle persone.
Le adozioni internazionali incidono per una percentuale minima sulla condizione dei bambini nei paesi in cui questa è operata. Si tratta di azioni individuali che hanno come obiettivo solo il cambiamento di vita del bambino destinato all'adozione. La singola adozione non incide sulle condizioni di vita dei minori nel paese d’origine dell’adottato. Negli ultimi anni si è imposto il sostegno a distanza che, insieme alla sussidiarietà che l'ente autorizzato effettua nel paese in cui opera, fatta anche di micro piani di sviluppo economico, può cambiare una piccola realtà locale. Le azioni che invece realmente possono avere un impatto sulle condizioni di vita dei paesi in via di sviluppo sono, ad esempio, quelle congiunte di sostegno al commercio equo e solidale e boicottaggio delle aziende che non tutelano i diritti minimi dei lavoratori o che utilizzano la manodopera infantile, il consolidamento del microprestito, l’incentivazione di modelli di governance più equi, l’abolizione delle misure che favoriscono il dumping e, in particolare, i sussidi alle esportazioni, la cancellazione progressiva del debito estero di tutti i paesi in via di sviluppo. Solo l’azione combinata di questi interventi dal basso, può essere davvero incisiva e configurarsi come un piccolo volàno per il cambiamento sociale del pianeta.
Solo cambiando le condizioni attuali di vita nei paesi in via di sviluppo diminuirà il livello di miseria che spinge le donne ad abbandonare i propri figli per strada o negli istituti. Non pensiamo certamente che sia un fenomeno che scomparirà con il miglioramento delle condizioni sociali in questi paesi, perché sempre le donne potranno partorire e decidere di non occuparsi di un figlio, ma ciò almeno non avverrà con la percentuale che oggi si rileva, e che è legata, a una moltitudine di fattori concatenati quali: la povertà, la mancanza di alternative, il minore accesso all’istruzione delle donne, con tutto ciò che ne consegue.
Altrettanto eterogenee, anche se di diversa natura, sono le strategie che riguardano i minori che si trovano in istituto e/o in stato di abbandono in Italia. A fronte di moltissime dichiarazioni di disponibilità depositate in tribunale, pochissimi sono i bambini in stato di adottabilità, moltissimi i bambini negli istituti.
Il primo strumento che occorre attivare al più presto, ora che è stato adottato il regolamento che ne disciplina le modalità di attuazione e organizzazione, è la banca dati relativa ai minori dichiarati adottabili e alle coppie aspiranti all'adozione nazionale. Attraverso questo strumento sarà possibile individuare con il margine di territorialità nazionale, una famiglia per quei minori che per storia o condizioni sanitarie, hanno maggiori difficoltà. Nuovi strumenti normativi, inoltre, come il DDL “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione aperta” (Burani Procaccini e altri) o il concorrente “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione aperta e di adozione mite” (Bolognesi e altri) potrebbero rappresentare un’opportunità per il collocamento di minori con una situazione familiare particolare, per i quali, cioè, sarebbe possibile prefigurare una adozione che preveda il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine, giudicati in una qualche misura “positivi” e ineludibili anche se non sufficienti a consentire il reinserimento del bambino nell’ambiente familiare. Crediamo che questo nuovo strumento, se utilizzato su base residuale e individuando sul territorio coppie realmente motivate e opportunamente formate, possa costituire una nuova possibilità per tanti minori.
I nuovi strumenti normativi, inoltre, dovrebbero essere affiancati da un utilizzo più consistente della legislazione esistente, come ad esempio l’ex art. 44/d della L.184/83 “Diritto del minore a una famiglia”. L’articolo 44/d recita: “i minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di adottabilità e sia stata constatata l’impossibilità dell’affidamento preadottivo”. In questo modo sarebbe possibile garantire ai piccoli l’opportunità di crescere nella famiglia in cui sono collocati provvisoriamente oltre il termine dell’iter processuale, anche in quei casi in cui la famiglia di origine ne conosca la collocazione (eccetto che nelle situazioni di accertata rischiosità). Poiché non si tratta di un’adozione legittimante, non saranno recisi legami affettivi consolidati pur di mantenere la segretezza sulla collocazione dei minori. Lo stesso può avvenire per quel che concerne i minori per cui è stata constatata l’impossibilità dell’affidamento preadottivo (preadolescenti e adolescenti, grave disabilità fisica o psichica, casi di fallimento adottivo, abusi gravi e complessità in genere). In questi delicatissimi casi è fondamentale che le Regioni si adoperino per avviare la formazione di soggetti che affianchino e sostengano le coppie che offrono la loro disponibilità. Le diverse forme di affido eterofamiliare offrono, inoltre, un discreto ventaglio di possibilità alle istituzioni per il collocamento più adatto del minore in difficoltà, a seconda delle specifiche esigenze del minore stesso: l’affido, anche operato attraverso le famiglie professionali, le comunità di tipo familiare e le comunità di prima accoglienza e recupero. Ciascun contesto deve essere adeguatamente monitorato dai servizi sociali (e/o sanitari) del territorio. I progetti di “famiglie professionali”, caratterizzati dal coinvolgimento della famiglia affidataria nel progetto di recupero della famiglia di origine, dovrebbero essere incentivati nel territorio proprio per la peculiarità stessa del servizio: si tratta di un nuovo modello di affido che ha come obiettivo l’accoglienza di minori in stato di necessità, ma con una storia tale da richiedere una accoglienza qualificata per sostenere alcuni tipi di disagi che altrimenti troverebbero collocazione solo nelle comunità di tipo familiare.
Infine, il sostegno alle associazioni familiari in genere, anche attraverso l’incentivazione di Consulte comunali, provinciali o regionali delle associazioni stesse, è basilare per la costruzione di quella rete di sensibilizzazione della società civile sulle tematiche dell’infanzia in difficoltà; una rete che renderà le persone consapevoli, portando tutti a sentirsi coinvolti, poiché i bambini sono un bene dell’umanità e tutti dovrebbero farsene carico.
di Monya Ferritti