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Articolo
Colombia
Autore/i:Rosellina Epifanio
Data: 15-03-2006
Argomento: Paesi
Crediamo che in un mese di permanenza in Colombia riusciremo a vivere il paese del nostro bambino. Siamo tornati anche da là con alcuni flash, sensazioni più nitide che in Romania, ma sicuramente nessuna conoscenza della vita colombiana reale.
A Medellin siamo alloggiati in un residence lussuoso, in un quartiere ricco. All’ingresso degli edifici e dei centri commerciali, recintati con alte cancellate, ci sono guardie armate. Andiamo molto in giro accompagnati. Siamo colpiti dalla vegetazione che, incurante, spunta rigogliosa in mezzo al cemento e alla fitta cappa di smog. La varietà di piante è incredibile. Lungo alcune strade i philodendron costituiscono grandissime e fitte pareti, la pianta di mango è ovunque e tante altre piante spettacolari si vedono qua e là lungo marciapiedi e strade caotiche. Agli incroci siamo scioccati nel vedere che i cartelli pubblicitari vengono retti da due persone, ferme immobili per tutto il giorno; al supermercato veniamo fulminati perché automaticamente cominciamo a insacchettare la spesa….una ragazza ci toglie la roba e il sacchetto e continua l’opera. La nostra accompagnatrice ci dice che è un modo per dare un salario a chi è disoccupato.
La modernissima metropolitana di cui tutti sono orgogliosi sembra essere il posto più sicuro e più pulito della città e ci consente di avere una visione panoramica della città. Medellin è una città di mattoni rossi che si snoda in una valle stretta e lunga. Da un lato la parte ricca, dall’altra prima la zona centrale e poi via, via, i quartieri più poveri. Tutto è di mattoni rossi, anche le minicase che sembrano arrampicarsi sulle colline. Oltre la metropolitana, c’è anche il Metrocable, una funicolare che sale al quartiere Santo Domingo e che, mentre sei sospeso in aria, ti offre scene di vita quotidiana. Vediamo bambini che saltano sui quadrati disegnati con i gessi, persone che si arrampicano lungo le scale che portano sopra la collina, vediamo un crocicchio di uomini che in piena mattina devono birra in quantità. In questa zona i tetti delle case sono colorati e decorati nelle maniere più allegre e bizzarre.
Torniamo due volte nella Plaza de Botero dove si vive un bellissimo contrasto tra il caos della città, l’edilizia di epoche diverse sovrastata dalla metropolitana modernissima e le sculture di Botero che imprimono un senso di gioia paciosa.
Viviamo in pieno la vita dei sobborghi quando andiamo a ritirare un documento all’anagrafe. C’è una situazione surreale. Da una piccola saracinesca si accede ad un locale dentro il quale si snoda una coda a serpentone apparentemente immobile. E’ molto piacevole stare là e osservare. La gente ci sorride e sembra non far caso alla nostra evidente diversità. Nessuno si lamenta della lentezza, neanche quando arriva il nostro turno e l’impiegato, sentito che si tratta di pratica di adozione, ci dice di aspettare; si tratta di pratiche più lunghe e lui ha bisogno di andare in bagno e andare a prendere un caffè. Nessuno fiata. La nostra accompagnatrice va a comprarci una sostanziosa merenda per riempire l’attesa. La gente continua ad aspettare mentre noi imbarazzatissimi mangiamo bunuelos giganti e beviamo una bibita dolciastra seduti alla scrivania vuota. Infine l’impiegato ritorna e comincia a chiacchierare allegro e incurante del tempo che passa raccontandoci delle sue esperienze europee. La gente aspetta, la coda si allunga e nessuno parla né sembra corrucciato.A Bogotà soggiorniamo al famoso Plenitude, crocevia di tutte le coppie adottive in Colombia. Ci vengono indicate una serie enorme di precauzioni da seguire ma ci sentiamo un po’ più liberi di girare nei dintorni: la città pulsa di vita, apparentemente non siamo in una zona superesclusiva. Anche qui il ferro è un materiale molto prezioso, ovunque ci sono inferriate. Giriamo un quartiere che sembra un british neighbour se non fosse per le cancellate che arrivano fino al cielo e alcune telecamere che occhieggiano qua e là. Per strada incontriamo una macchina con la ruota incastrata in un tombino aperto; ci dicono che per effetto del valore del metallo i tombini vengono rubati. Facciamo la solita incetta di oggetti di artigianato. Siamo incerti tra le tante cose che ci appassionano. Restiamo affascinati in particolare dai monili e dagli strumenti musicali fatti con semi di piante i cui nomi purtroppo ci sfuggono presto di mente. Lo spettacolare museo dell’oro testimonia l’esistenza di civiltà avanzatissime e la distruzione portata dagli europei. I colori della bandiera colombiana infine non potremo mai dimenticare. Innanzitutto perché, per una strana coincidenza della vita, sono gli stessi della bandiera rumena ma anche perché il tricolore blu, giallo e rosso è onnipresente: nell’abbigliamento dei giovani, negli accessori degli adulti, nelle affiches di qualsiasi genere.
"La camisa nera" è invece la colonna sonora del nostro mese in Colombia.
A Medellin siamo alloggiati in un residence lussuoso, in un quartiere ricco. All’ingresso degli edifici e dei centri commerciali, recintati con alte cancellate, ci sono guardie armate. Andiamo molto in giro accompagnati. Siamo colpiti dalla vegetazione che, incurante, spunta rigogliosa in mezzo al cemento e alla fitta cappa di smog. La varietà di piante è incredibile. Lungo alcune strade i philodendron costituiscono grandissime e fitte pareti, la pianta di mango è ovunque e tante altre piante spettacolari si vedono qua e là lungo marciapiedi e strade caotiche. Agli incroci siamo scioccati nel vedere che i cartelli pubblicitari vengono retti da due persone, ferme immobili per tutto il giorno; al supermercato veniamo fulminati perché automaticamente cominciamo a insacchettare la spesa….una ragazza ci toglie la roba e il sacchetto e continua l’opera. La nostra accompagnatrice ci dice che è un modo per dare un salario a chi è disoccupato.
La modernissima metropolitana di cui tutti sono orgogliosi sembra essere il posto più sicuro e più pulito della città e ci consente di avere una visione panoramica della città. Medellin è una città di mattoni rossi che si snoda in una valle stretta e lunga. Da un lato la parte ricca, dall’altra prima la zona centrale e poi via, via, i quartieri più poveri. Tutto è di mattoni rossi, anche le minicase che sembrano arrampicarsi sulle colline. Oltre la metropolitana, c’è anche il Metrocable, una funicolare che sale al quartiere Santo Domingo e che, mentre sei sospeso in aria, ti offre scene di vita quotidiana. Vediamo bambini che saltano sui quadrati disegnati con i gessi, persone che si arrampicano lungo le scale che portano sopra la collina, vediamo un crocicchio di uomini che in piena mattina devono birra in quantità. In questa zona i tetti delle case sono colorati e decorati nelle maniere più allegre e bizzarre.
Torniamo due volte nella Plaza de Botero dove si vive un bellissimo contrasto tra il caos della città, l’edilizia di epoche diverse sovrastata dalla metropolitana modernissima e le sculture di Botero che imprimono un senso di gioia paciosa.
Viviamo in pieno la vita dei sobborghi quando andiamo a ritirare un documento all’anagrafe. C’è una situazione surreale. Da una piccola saracinesca si accede ad un locale dentro il quale si snoda una coda a serpentone apparentemente immobile. E’ molto piacevole stare là e osservare. La gente ci sorride e sembra non far caso alla nostra evidente diversità. Nessuno si lamenta della lentezza, neanche quando arriva il nostro turno e l’impiegato, sentito che si tratta di pratica di adozione, ci dice di aspettare; si tratta di pratiche più lunghe e lui ha bisogno di andare in bagno e andare a prendere un caffè. Nessuno fiata. La nostra accompagnatrice va a comprarci una sostanziosa merenda per riempire l’attesa. La gente continua ad aspettare mentre noi imbarazzatissimi mangiamo bunuelos giganti e beviamo una bibita dolciastra seduti alla scrivania vuota. Infine l’impiegato ritorna e comincia a chiacchierare allegro e incurante del tempo che passa raccontandoci delle sue esperienze europee. La gente aspetta, la coda si allunga e nessuno parla né sembra corrucciato.A Bogotà soggiorniamo al famoso Plenitude, crocevia di tutte le coppie adottive in Colombia. Ci vengono indicate una serie enorme di precauzioni da seguire ma ci sentiamo un po’ più liberi di girare nei dintorni: la città pulsa di vita, apparentemente non siamo in una zona superesclusiva. Anche qui il ferro è un materiale molto prezioso, ovunque ci sono inferriate. Giriamo un quartiere che sembra un british neighbour se non fosse per le cancellate che arrivano fino al cielo e alcune telecamere che occhieggiano qua e là. Per strada incontriamo una macchina con la ruota incastrata in un tombino aperto; ci dicono che per effetto del valore del metallo i tombini vengono rubati. Facciamo la solita incetta di oggetti di artigianato. Siamo incerti tra le tante cose che ci appassionano. Restiamo affascinati in particolare dai monili e dagli strumenti musicali fatti con semi di piante i cui nomi purtroppo ci sfuggono presto di mente. Lo spettacolare museo dell’oro testimonia l’esistenza di civiltà avanzatissime e la distruzione portata dagli europei. I colori della bandiera colombiana infine non potremo mai dimenticare. Innanzitutto perché, per una strana coincidenza della vita, sono gli stessi della bandiera rumena ma anche perché il tricolore blu, giallo e rosso è onnipresente: nell’abbigliamento dei giovani, negli accessori degli adulti, nelle affiches di qualsiasi genere.
"La camisa nera" è invece la colonna sonora del nostro mese in Colombia.