Contributi
Le origini
A cura di: Maria Rita FabioData: 04-05-2012
Argomento: Psicologia e Pedagogia
Freud in Introduzione al narcisismo (1914) parla di uno spazio onirico prenatale quando, dice che «Sua Maestà il bébé» è stato sognato dalla madre quando era nel suo grembo. Il bambino viene sognato come portatore della speranza che egli realizzerà i <sogni ed i desideri irrealizzati> di coloro i quali l'hanno preceduto e generato. E' su questi <sogni e desideri irrealizzati> che il bébé dispiega il proprio narcisismo primario. La madre, il padre e l'insieme del gruppo familiare sognano il bébé immaginario, lo includono nel loro sogno, gli assegnano un posto. In quel momento, la psiche dell'infans non è separata da quella di ognuno di quelli che, insieme, costituiscono la sua culla psichica».
Il neonato alla nascita possiede
già un suo bagaglio che è sia biologico, sia mentale. Se prima si riteneva che
il feto non avesse alcun tipo di percezione, oggi le ricerche in neurobiologia,
supportate da tecnologie sempre più sofisticate, ci permettono di affermare che
non solo recepisce gli stimoli trasmessi dalla madre, ma che questi stimoli
assumono una funzione importante per il corretto sviluppo del cervello e
lasciano una memoria corporea di esperienza prenatale che può modificare il comportamento
nella vita postnatale. Ciò che del sistema nervoso è geneticamente determinato,
diviene quindi operativo in rapporto agli stimoli ambientali. In sostanza, sono
le esperienze interpersonali che giocano un ruolo determinante nello sviluppo e
nell'attivazione delle strutture e delle funzioni cerebrali durante tutta la
nostra esistenza, in particolare nella fase prenatale e nelle prime fasi di
vita. Ognuno di noi è dunque il frutto di un proprio patrimonio genetico e di
una specifica ed irripetibile esperienza ambientale, che inizia dalla vita
fetale e prosegue per tutta la vita in una interazione continua e complessa.
Pertanto, il comportamento del genitore è decisivo nell'indirizzare il
successivo sviluppo del bambino; in particolare, già durante la gravidanza gli
stati emotivi della madre costituiscono per il feto una prima memoria corporea
che in seguito guiderà i comportamenti del bambino fin dalle sue prime
esperienze interpersonali. Quanto emerge dalla ricerca nell'ambito delle
neuroscienze ci permette di fare due considerazioni. La prima è che quanto
finora affermato entra inevitabilmente in contrasto con la diffusa convinzione
che adottare un bambino molto piccolo, magari neonato, annulli o riduca al
minimo la storia antecedente. Questa, al contrario, ha inizio dal momento del
concepimento; è una storia che lascia una memoria inscritta nel corpo e partecipa
alla costruzione dell'identità del bambino.
Non possiamo ritenere che l'influenza delle prime esperienze di vita debba
tradursi in fissità per il costituirsi dell'identità adulta. Jerome Kagan,
utilizzando proprio la letteratura sui bambini adottati, afferma che la prima
infanzia non costringe in un solo senso il futuro dell'individuo
Infatti, se il cervello ha una sua capacità plastica di modificare struttura e
funzioni al mutare delle esperienze interpersonali, ciò significa che il
bambino, anche gravemente deprivato, può beneficiare di figure alternative
capaci di riattivare il suo sano processo di crescita.
Ogni bambino che porta in sé la ferita dell'abbandono ha diritto a crescere in
un ambiente facilitante, con adulti in grado di offrire una nuova scena
relazionale entro la quale il bambino possa ritrovare la continuità della sua
esistenza, fra passato e presente, per riaprirsi a nuove e più sane
prospettive.
Come sostiene Karen Horney, "l'essere umano, purché gliene si presenti la
possibilità, tende a sviluppare le proprie potenziali capacità umane.
Un bambino che sperimenta, alla nascita o successivamente, la separazione
forzata dai propri genitori biologici, qualunque sia la motivazione, certamente
vive una situazione traumatica, spesso con carattere cumulativo, che altera una
condizione fisiologica di crescita e che determina una dinamica intrapsichica e
relazionale che condiziona i futuri possibili attaccamenti a nuove figure
genitoriali.
Nell'adozione la relazione adulto-bambino e il legame di filiazione che li unisce assumono caratteristiche particolari ma in questa sede è importante soprattutto analizzare i meccanismi psicologici che li definisce. La filiazione si può definire come il processo attraverso cui un soggetto sente di far parte di una famiglia e pertanto può dunque situarsi in una determinata posizione in una rete di parentela sia rispetto ai suoi ascendenti immediati o lontani sia rispetto ai suoi discendenti reali o eventuali. In questo processo giocano un ruolo centrale i meccanismi di riconoscimento del nuovo membro da parte del gruppo familiare e l'accettazione da parte di quest'ultimo della posizione che il gruppo gli ha riservato. Si possono distinguere due momenti nel processo di filiazione: il primo momento è rappresentato dalla "filiazione istituita" cioè dal riconoscimento della filiazione in conformità a convenzioni stabilite (leggi, usanze, riti) mentre l'altro momento è composto dalla " filiazione narcisistica" cioè dall'insieme delle fantasie, dei desideri e di altri fattori affettivi e inconsci della famiglia di appartenenza riguardo al nuovo arrivato.
Dal punto di vista giuridico l'adozione costituisce il riconoscimento di legami di filiazione tra persone che non hanno alcun legame di sangue.
Esaminiamo ora la "filiazione narcisistica" della famiglia naturale, ossia l'insieme delle caratteristiche immaginarie, affettive e inconsce derivanti dalla storia personale propria di ogni genitore. Kaes rileva come la filiazione comporti il riconoscimento da parte del soggetto della propria posizione nella catena della generazione e rileva quanto sia il desiderio dei genitori, che precede la nascita del figlio, a stabilire tale posizione e la funzione che il nuovo arrivato dovrà svolgere all'interno del gruppo familiare. Egli riprende l'affermazione di Freud secondo cui il sano narcisismo del bambino sia un prolungamento del narcisismo dei genitori. L'investimento narcisistico del figlio (l'importanza attribuitogli, le aspettative e i desideri sul suo conto) e la posizione che gli è assegnata nella catena generazionale dai genitori e dal gruppo familiare, se da un lato costituiscono la base della sua individualità, dall'altro rivestono contemporaneamente la funzione di continuità del gruppo di appartenenza e di realizzare i desideri irrealizzati dei genitori. Già Freud scriveva " l'individuo conduce effettivamente una doppia vita, come fine a se stesso e come anello di una catena di cui è strumento, contro o comunque indipendentemente dal suo volere". Su questa base si stabilisce fra genitori e figlio, tra il gruppo familiare e il nuovo nato Quello che Kaes definisce un "contratto narcisistico". Questo contratto assegna a ognuno una determinata posizione che gli è offerta dal gruppo il quale trasmette anche il proprio mito, gli ideali e i valori che lo caratterizzano. Il sano narcisismo del bambino si appoggia sulle fantasie del gruppo familiare e dei genitori fatte prima ancora della sua nascita. Tale appoggio è indispensabile perché possa costituire la propria realtà psichica. Tuttavia ogni individualità adulta si costituisce non solo nell'accettazione della posizione che il gruppo gli attribuisce, ma anche nella possibilità di operare uno scarto rispetto a essa. Il contratto narcisistico, infatti, può anche ostacolare l'individuo nella realizzazione dei propri fini individuali se questi ultimi contrastano con i desideri dei genitori e costituiscono per essi un'insopportabile ferita narcisistica. Se il bambino, nell'interagire con l'ambiente che ha cura di lui, si sente accolto nell'espressione dei suoi desideri, se il suo affermarsi nella differenza dall'altro non incontra ostacoli ma attenzioni, è possibile che interiorizzi il piacere della crescita, il piacere di sentirsi se stesso. Una relazione sufficientemente buona fa si che il bambino sviluppi un sentimento di fiducia di base, il piacere per la conoscenza e la capacità di pensare.
Questa dinamica, sottesa alla filiazione naturale, assume una fisionomia peculiare nella filiazione adottiva. Il bambino in adozione proviene da un nucleo familiare d'origine nel quale gli era stata assegnata una determinata posizione che dovrà inevitabilmente rimettere in gioco riguardo al nuovo contratto narcisistico proposto dalla famiglia adottiva. E' a questo punto necessario prendere in esame la dimensione fantasmatica (fantasie, desideri inconsci, problematiche di natura affettiva.)
che soggiace nella coppia che decide di fare un'adozione. La problematica fantasmatica della coppia adottiva ruota essenzialmente intorno a due aspetti:
a) la richiesta di adottare un bambino rappresenta la trasgressione consapevole della sterilità,
b) Il fatto di adottare un bambino significa avere un bambino che è stato desiderato e concepito da altri.
Entrambi questi elementi condizionano profondamente la natura del contratto narcisistico proposto al bambino.
Senza addentrarci nella complessa problematica psicologica che si
connette alla sterilità, ciò che qui importa mettere in rilievo è la profonda
ferita narcisistica, e le difficoltà che essa può provocare all'interno della
coppia. La coppia che ricorre all'adozione generalmente è una coppia che ha
aspettato più o meno a lungo l'arrivo di un figlio naturale, che spesso si è
prima sottoposta a complesse ed estenuanti metodiche di fecondazione assistita,
che vuole evitare lunghe attese e che spera di ottenere un bambino che sia il
più piccolo possibile. È una coppia che comunque ha a lungo fantasticato,
consciamente o inconsciamente, su un figlio proprio che, non essendo mai nato e
proprio perché assente, ha finito per assorbire su di sé tutte le
idealizzazioni e le aspettative della coppia e delle rispettive famiglie di
origine.
Questo bambino mai nato ha quindi preso un suo posto ed occorre che la
coppia elabori il lutto della sua perdita affinché possa creare lo spazio
mentale necessario ad accogliere un bambino reale, abbandonato e non
privo di storia, che ha bisogno di essere accudito.
Non possiamo pensare che la coppia possa arrivare al pieno compimento
dell'elaborazione del lutto procreativo prima ancora dell'incontro con il
bambino reale. La sua peculiare soggettività richiede genitori capaci di
operare una continua rinegoziazione con proprie aspettative e richieste
compensatorie, molte delle quali, tuttavia, solo nel tempo potranno emergere
alla piena consapevolezza.
Il contatto reale con la sofferenza dell'abbandono richiama nel genitore
adottivo il lutto legato alla propria incapacità procreativa che in seguito si
esprimerà in dolore: dolore per non aver potuto generare proprio quel figlio e
velato senso di colpa per non avergli potuto evitare le sofferenze subíte fin
dal suo primo affacciarsi alla vita e/o successivamente.
Durante il cammino di crescita della famiglia adottiva saranno innumerevoli (e
spesso inaspettate) le occasioni in cui il trauma dell'abbandono ed il trauma
dell'impossibilità di generare biologicamente si ricollegheranno fra loro e si
riproporranno ad un confronto che aprirà la strada a nuove rivisitazioni,
elaborazioni e trasformazioni. Affinché queste continue occasioni diventino
effettivamente parte del percorso di crescita individuale e familiare, è
necessario che fin dall'inizio i genitori si pongano nella relazione senza
negare la storia di cui ognuno è portatore.
La sterilità e la scelta di adottare riattivano le fantasie che si riferiscono
all'immagine interiorizzata del rapporto sessuale fra i genitori. Tale rapporto
può essere stato concepito come creativo o al contrario come distruttivo e
infecondo. L'adozione può essere vissuta come riparazione non solo della ferita
narcisistica ma anche del proprio mondo interiore se in esso sono contenuti
immagini percepite come danneggiate e distruttive.
Il rischio è, naturalmente, l'eccessiva accentuazione del carattere riparativo dell'adozione. Tale rischio è particolarmente presente nei casi in cui la scelta o il desiderio di adottare non sono legati a difficoltà a procreare, ma a motivi di tipo ideale. In questi casi è possibile che l'adozione possa rappresentare il tentativo di riparare problematiche interiori con cui non si è in contatto e che perciò non sono state elaborate. In questi casi è accentuato il carattere immaginario e fantasticato del bambino adottato, mentre sono molto limitate le possibilità di riconoscere i suoi bisogni reali laddove essi differiscano dalle aspettative idealizzate di riparazione della coppia. Il contratto narcisistico proposto al bambino comporta allora la rinuncia all'espressione e alla soddisfazione di una parte talvolta sostanziale dei suoi bisogni e desideri. Ciò lo destina a sviluppare un'identità falsa o a esprimere le parti di sé che sono state negate e scisse in comportamenti impulsivi che scontrandosi con le aspettative della coppia adottiva possono portare al fallimento del rapporto, fallimento di cui spesso la coppia adottiva attribuisce ogni responsabilità al bambino.
Nei casi di sterilità psicogena l'adozione può risvegliare le difficoltà a identificarsi con i propri genitori. Anche queste difficoltà se non sono contattate emotivamente e adeguatamente elaborate è possibile che rendano i genitori adottivi particolarmente esigenti e intolleranti nei confronti del bambino.
Nell'adozione si verifica la filiazione di un bambino che è stato concepito da un'altra donna. Soulè ha ampiamente mostrato come nella filiazione adottiva il confronto con l'immagine materna, e la fantasia inconscia di voler prendere il bambino alla propria madre, già presente nella filiazione naturale, risulti intensificata dalla presenza della madre naturale del bambino. Il desiderio di avere un figlio si collega sempre alla fantasia inconscia di ogni bambino di appropriarsi attraverso un furto di ciò che è contenuto nel modo interno della madre. La presenza di tale condizione psicologica condiziona fortemente la relazione con il bambino adottato per tutto ciò che riguarda la famiglia naturale. Infatti la difficoltà ,da parte dei genitori adottivi, a parlare con il bambino della madre naturale e del suo abbandono, il sostanziale rifiuto di conoscere la sua storia per cercare così di aiutarlo a rielaborarla sono spesso espressioni di fantasie in parte inconsce di avere compiuto un furto a danno della propria madre. Le fantasie inconsce dei genitori adottivi sono condizionate dal fatto che il bambino adottato è stato portato non solo nel corpo di un'altra madre, ma anche nella mente e nel desiderio di un altro uomo e di un'altra donna. La rielaborazione immaginaria delle fantasie sulla famiglia naturale del bambino sono fortemente influenzate dall'immagine che la coppia adottiva ha inconsciamente interiorizzato dei propri genitori. E' pertanto auspicabile che i genitori adottivi elaborino le fantasie sulla coppia genitoriale interiorizzata ed è inoltre importante che elaborino anche l'eventuale fantasia di essere stati adottati, fantasia che può essere stata vissuta nella fase di separazione dai propri genitori e che l'esperienza dell'attuale adozione può riattivare.I genitori adottivi devono affrontare una costellazione immaginaria complessa, ma dipende dalla loro capacità di contenere e trasformare questo intreccio di fantasie la natura del contratto narcisistico proposto al bambino, contratto che, come abbiamo visto, fonda e orienta la loro relazione con lui. La famiglia adottiva, che più delle altre è una famiglia in continuo divenire, ha un compito rilevante e che si dispiega nel tempo: accogliere quei frammenti della personalità in cui permane il vissuto traumatico per favorirne il risanamento e la trasformazione.
Relazione tenuta agli incontri Parliamo con del 21/01/2012 e 25/02/2012 dalla dottoressa Maria Rita Fabio Psicologa e Psicoterapeuta socia fondatrice del Laboratorio Psicoanalitico "Vicolo Cicala".