Home | Chi siamo | Dove siamo | Sportelli | Iniziative ed eventi | Percorsi di preparazione | Se ne parla in GSD | Links | Recensioni | Notiziario mensile |
Notiziari (pdf) | Articoli dai Notiziari |
A domanda risposta | Ufficio stampa | Audio e video | Contatti |

GSD Informa

Articolo

Lettera a un bambino già nato - prima parte

Autore/i: Antonella Avanzini

Data: 15-12-2012
Argomento: La storia di una famiglia adottiva

LETTERA A UN BAMBINO GIA' NATO

Di Antonella Avanzini

 

Io e mio marito abbiamo fatto tre viaggi in Russia. Oltre alla tipologia di viaggio prettamente turistico, al viaggio per lavoro, al viaggio sentimentale sessuale nei territori dell'est, ce n'è almeno un altro: i nostri sono stati tre viaggi del tipo "più di così non potrà mai esserci niente"; perché partire per andare in un paese per portare a casa due figli, partire in due e tornare in quattro, per sempre, è stato un viaggio S-T-R-A-O-R-D-I-N-A-R-I-O !!!!

Dei  luoghi in cui sono stata ricordo ogni millimetro, ogni odore, ogni colore. Più che un viaggio però è più giusto chiamarlo una deportazione. Tutto l'iter adottivo che precede i viaggi nel paese estero è molto lungo, difficile, si impegnano moltissime energie da parte di tante strutture, tanti operatori. Quando parti sei quasi arrivato in fondo. Ci sono voluti tre anni prima di arrivare ad avere il biglietto dell'aereo per andare a vedere i miei futuri figli. E non potete immaginare cosa abbia voluto dire preparare i documenti necessari a convincere lo Stato Federale Russo a far uscire definitivamente dalla Russia due cittadini russi. Proporzionato a cosa chiedono per farvi solo passare, o a cosa chiedono per farvi solo sposare, è molto, ma molto, ma molto di più. Da parte dei russi la Russia è ancora un paese "oltrecortina", il mondo di qua è ancora un altro mondo, a cui si guarda, sì, ma ancora con un moderato ma tangibile sospetto, soprattutto nelle zone un po' più provinciali.

Arrivato in Russia, il genitore adottivo trova ad aspettarlo una persona russa di riferimento, che si occuperà della sua procedura di adozione; persona pagata dall'ente italiano a cui si dà l'incarico per fare da intermediario con lo Stato della Federazione Russa. Per questa persona far adottare bambini è un lavoro, e lo svolge ovviamente con "spirito russo". Il lavoro svolto prima del viaggio è tantissimo! Sia in Russia, perché convincere lo stato russo, che l'ente italiano per cui tu lavori ha diritto a dare in adozione un certo numero di bambini russi, è un lavoro non indifferente, soprattutto di alta "diplomazia" e svolto nei vari dipartimenti. Tanto lavoro anche in Italia, fatto da noi futuri genitori, dall'ente italiano che gestisce i rapporti tra lo stato russo e la coppia che vuole adottare e anche dalle strutture pubbliche italiane. Quando arrivi in Russia, sono quindi TERRORIZZATI che le povere, sprovvedute coppie di aspiranti genitori combinino qualche casino e mandino a monte tutto.

Casinotipo farsi rubare i documenti, perdersi, perdere le valigie, farsi fermare dalla polizia, farsi arrestare e via discorrendo. Per cui, passi di mano in mano ai vari autisti, interpreti e referenti russi, e tra un incontro, uno spostamento e l'altro, sei messo in castigo ad aspettare senza muoverti. Arrivati all'aeroporto a Mosca, dopo la dovuta attesa alla verifica dei passaporti - un'ora e mezza stante la presenza di alcuni orientali non meglio identificati, verso cui i controllori dei passaporti hanno un innato senso di antipatia - c'era ad aspettarci l'autista, con cartello, che ci ha depositati alla stazione. Per telefono, la nostra persona di riferimento russa ci ha detto che una volta arrivati in stazione dovevamo sederci esattamente dove ci lasciava l'autista e aspettare fino a quando sarebbe arrivata lei a portarci ibiglietti del treno e ad accompagnarci sul treno. Assolutamente non uscire dalla stazione, non uscire dalla sala di attesa, non parlare agli sconosciuti; questa, invero, cosa molto facile non conoscendo noi il russo.
Ora, sei a Mosca per la prima volta nella tua vita, devi aspettare cinque ore e...non ti puoi muovere da una fottuta sala di aspetto!?  Anzi, non ti puoi muovere da una precisa, fottuta poltrona di una panca in ferro di una fottuta sala di aspetto!? Una precisa posizione di sedia, perché - dopo abbiamo capito - ti hanno piazzato davanti a un signore di un baracchino che vende non so cosa. E si sono messi d'accordo perché ti dia un'occhiata intanto che  aspetti!

Ora, già da questo primo approccio ci è stato chiaro che la parola attesa ha, in Russiae per i russi, un significato totalmente diverso che per noi in Italia. E io sono pure di Milano, dove se aspetti più di due secondi quando ti fanno il caffè al bar già ti arrabbi! Nella sala di aspetto della stazione, a dire il vero, anche tutti gli altri presenti hanno pazientemente e silenziosamente atteso ore e ore. 
Fino allo scoccare di un preciso momento, quando, prima piano piano, poche persone, poi sempre più numerosi e velocemente, silenziosi personaggi spostavano le panchette in ferro, trascinandole secondo una certa logica. Logica che al momento non capivamo. Solo in seguito abbiamo realizzato che lepanche ambite erano quelle senza braccioli, che permettevano perciò disdraiarsi e dormire, durante la notte che si avvicinava. Ci venne anche il dubbio che le panchette-letto venissero, in un orario più tardo, subaffittate. Ma, prima di poter vedere la sala trasformata in dormitorio, finalmente arrivò la nostra referente russa. Dopo due parole di presentazione, ci portò sul treno, nella nostra cuccetta, e ci abbandonò alla nostra notte insonne, a immaginare le facce sconosciute dei nostri futuri bambini, che avremmo visto per la prima volta l'indomani. A confronto dei treni italiani il treno russoera SPETTACOLARE! Passerella in stoffa rossa e contro passerella bianca perterra nel corridoio, tendine decorate e cuscinetti pendant nella carrozza letto. Aahhh... finalmente! Ci siamo sentiti quasi dei turisti sull'Oriente- Express ai primi del novecento, soprattutto quando ci hanno dato il tè in due meravigliose tazze in vetro e simil-argento: "ecco!" - abbiamo detto - "finalmente siamo nella grande Russia!".

Se un italiano adotta un bambino nato in un paese estero, deve attenersi alle leggi che regolano l'adozione in quel preciso paese e che sono diverse per ogni paese. Per la Russia, essendo uno stato federale, la procedura è simile in ogni regione, anche se leggermente diversa. Comunque, le informazioni che hai prima di partire per la Federazione Russa sono spesso minime; nel nostro caso sapevamo il mese e l'anno di nascita della bimba e solo l'anno di nascita del bimbo, nulla di più: non un nome, non una foto. Da un certo punto di vista questo è un bene, perché non sempre quei bambini per cui tu parti, nel frattempo che proseguono le pratiche burocratiche, sono ancora "adottabili" e quindi rischi di sentirti già mamma, o papà, di un bambino che non starà ma icon te, non sarà mai tuo figlio. Parti nell'insicurezza più totale. Devi andarelì e vedere cosa succede, come andranno veramente le cose.

È con quello spirito che scendiamo dal treno alla stazione di Voronezh, alle 7,15 dimattina: c'è l'interprete ad attenderci. Prima di partire, le persone dell'ente che ci seguivano in Italia nella procedura di adozione, ci avevano "istruito"su alcune cose: ci avevano detto, tra l'altro, di cercare di presentarci vestiti bene, non trasandati, quando saremmo andati in istituto o dal giudice in tribunale per la sentenza di adozione. Insomma, di cercare di fare "bella figura", perché in Russia all'apparenza ci si tiene ancora. E siccome c'è concorrenza, tra aspiranti genitori adottivi americani, spagnoli e italiani - e le liste di attesa sono lunghe - meglio tenere alta la bandiera. Per questo, prima di partire, mi ero comprata un bel tailleur in seta piuttosto costoso, tipo cerimonia, di un bel colore bluette. Avevo anche convinto mio marito a portarsi il vestito del nostro matrimonio, celebrato due anni prima, proprio per potere presentare la domanda di adozione, anche se convivevamo ormai daventi anni. Sempre per lo stress di ritardi e inconvenienti vari, avevamo deciso di portare solo bagaglio a mano e, quindi, ci portavamo i nostri vestiti belli nei sacchi appositi con relativa gruccia, da portare di traverso sul braccio, con mio marito che a ogni cambio di mezzo di trasporto smadonnava, maledicendo il giorno che mi era venuto in mente di portare il tailleur nuovo stirato! Indossiamo, quindi, finalmente in treno, di prima mattina, i nostri completi della festa e, tutti eleganti, andiamo incontro alla giornata della nostra vita. L'interprete è una bella ragazza - mai sentito di interpreti russepoco piacenti - che comunque ci analizza con sospetto sin dal primo momento: "Ma i nostri bambini russi se li meritano questi due?"

La nostra referente a Voronezh è invece una signora in carne, giovane ma, a giudicare da itratti somatici, deve essere originaria delle repubbliche sovietiche asiatiche. Un po' troppo sorridente, ma d'altra parte esperta nei rapporti con gli uffici pubblici: deformazione professionale. Purtroppo non parla italiano e, cosa ben peggiore, non ha nemmeno la patente, per cui ci si avvarrà di un autista. Un signore simpatico, che invece due parole due di italiano le sa anche (scopriremo più tardi che è anche il suo fidanzato...). Siccome l'autista è per tutta la giornata, e lo paghiamo noi, passiamo la mattina seduti in macchina  - con i nostri vestiti da matrimonio - ad accompagnare la nostra referente nei diversi uffici comunali della città. Lasciarci soli e farci fare un giretto rilassante non se ne parla nemmeno .Sempre della serie: non perdiamoli d'occhio! Verso mezzogiorno, finalmente, ci portano al Dipartimento della Tutela dei Minori, dove ci diranno chi sono e dove sono i bambini. Una signora distinta ci riceve - il funzionario pubblico in Russia è generalmente sempre distinto - e ci fa accomodare. Tira fuori unfoglio formato lettera che ci consegna: è compilato a mano con incollate due foto tessera, con i dati anagrafici dei bimbi. Vediamo finalmente per la prima volta i bambini, in foto.

Due faccine che ci guardano incuriosite e un po' stralunate: russe, molto russe, bionde e con un incarnato color latte e biscotto. La bimba ha in testa il foularino coi fiorellini legato dietro, che tenerezza! Teniamo il foglio come se tenessimo in mano... che so, il gioiello più delicato e prezioso del mondo. L'interprete traduce, sinceramente non abbiamo sentito molto, non abbiamo capito nemmeno i nomi, per come eravamo in trance a guardare le fotine. Nel frattempo, sentiamo che c'è una certa discussione tra le signore; l'interprete non ci traduce nulla perché, se è bene che sappiamo allora traduce, ma se è meglio che non sappiamo non traduce. Questi russi! Spionaggio e contro spionaggio a livello spicciolo. Chiediamo che succede, ma ci tranquillizzano. Ci chiedono se confermiamo che questi bambini vogliamo andarea vederli: SIIIIIII!!! I bambini sono a 150 chilometri fuori città, in un paese nella provincia: si parte subito in macchina.

Benché abituati ai paesaggi invernali del nord Italia, la campagna russa in inverno è un paesaggio diverso, dove la strada è solo dritta per 150 chilometri, larga,ma solo a tratti senza neve, senza ghiaccio. Si può percorrere a fatica, a bassa velocità. Pochi camion, pochissime macchine;  si capisce che l'autista ci tiene a che tutto vada bene, non rischia. Ma per noi va sempre troppo piano, non vediamo l'ora di arrivare. Nella macchina poche parole, ci accorgiamo che c'è una certa tensione e un certo imbarazzo. Ci fermiamo un attimo da un benzinaio, chiedo di andare in bagno. Mi indicano una baracchina in legno un po' lontano: è una latrina senz'acqua, con buco scavato nella terra, uguale a come le ricordavo quando ero bambina, in campagna, al paese dei nonni, quarant'anni fa, sotto il fico! Non mi rendo ancora pienamente conto delle cose, ma inizio a intuire perché non c'è nessuno, qui, che voglia due bocche in più in famiglia. Ci fermiamo anche a mangiare qualcosa appena fuori del paese, in una specie di bar per camionisti: sono le tre del pomeriggio e siamo tutti digiuni dalle 7 di mattina. Nel bar c'è poco, prendiamo dei biscotti in scatola e acqua da bere. Finalmente siamo arrivati. Attraversiamo un piccolo paese, con case basse, strade innevate, viali alberati innevati. Siamo subito in una piccola via secondaria e ci fermiamo davanti a un cancello basso, verde, con pitturati sopra disegnini da bambini, che introduce a un vialetto innevato. In fondo una costruzione in mattoni grigi a vista. Nel vialetto innevato ci accoglie un grazioso portiere. Il disegno di un coniglietto su una tavoletta appoggiata a un pilastrino sembra dire:"Benvenuti! Qui ci sono bambini!". Ci riceve una signora sui sessant'anni, con fare timido, imbarazzata, che ci fa accomodare.

Solo allora capiamo il motivo dell'imbarazzo e della discussione al Dipartimento perla Tutela dei Minori a Voronezh. La direttrice non c'è, non avremmo potuto andare quel giorno, ma per non complicare le cose e non perdere giorni di lavoro, hanno risolto chiamando il responsabile di zona del dipartimento, che ci raggiungerà più tardi. Non avendolo mai visto e non sapendo chi è, la nostre referente e l'interprete sono un po' preoccupate. Nel piccolo ufficio della direttrice, la signora che ci ha accolto, identificata come "maestra", ci legge le schede con la storia dei bambini che siamo venuti a vedere. Legge prima qualche riga  - noi in reverenziale silenzio - e poi ci guarda in viso e riassume lentamente quello che ha letto. Con pudore. Questi bambini hanno una storia triste, ma noi eravamo preparati: i bambini che sono dichiarati adottabili hanno tutti storie tristi. Mi piace però questo pudore. Siamo estranei, stranieri, non abbiamo mai avuto contatti con questi bambini, è giusto che si senta in imbarazzo a raccontare per filo e persegno le loro vicissitudini. E' giusto che racconti, ma anche sapendolo, che non ci racconti tutto.  Perché in effetti non farebbe nessuna differenza. Ci fanno aspettare un poco perché è l'ora del sonnellino e gli spiace svegliare il piccolo. Ci introducono finalmente in un salone grande. Vicino alla porta c'è un divano e sul divano è seduta una ragazza, una bimba, che ci volta le spalle, piange appoggiando la testa sulla sua spalla, nascondendosi. Resto ferma, immobile, pietrificata, a guardare i fermagli rossi e arancioni di due codini biondi. Sono distratta dall'arrivo del piccolo, che arriva di corsa alle mie spalle, ridendo, e si butta in braccio a mio marito, che, girato, lo ha visto arrivare e si è abbassato per accoglierlo. Non sappiamo che fare, la bimba non si stacca dalla sua "tata" e non smette di piangere. L'interprete prende in mano la situazione e ci dice di darle velocemente i regali che avevamo portato. Prendiamo i pacchetti ma non li vuole. Allora ne apro uno velocemente, un pacchettino piccolo, con un anellino con cuoricino in legno colorato, rosa e fucsia, e un braccialettino. Si interessa subito:  evvaiiii!!! La tata finalmente si allontana, i bimbi si mettono comodi sul divano e scartiamo gli altri pacchi tutti insieme. L'interprete è esperta, ha accompagnato tante coppie, anche spagnole, e ci fa subito delle foto. Questo momento è un momento che non scorderemo mai più, quelle foto le riguarderemo mille e mille volte.

Possiamo stare con i bambini in questo grande salone. Non siamo soli: c'è la referente, l'interprete, la "maestra"; la tata dopo qualche minuto va via. I bambini sonocosì contenti! Noi così impacciati!

Cosadobbiamo fare? Cosa possiamo fare? I bambini parlano, ma l'interprete non traduce tutto, solo qualcosa qua e là. Le signore parlano tra loro, ma sembrano soddisfatte. Ci stiamo comportando bene. A un certo punto l'interprete ci dice che non possiamo giocare tenendo i bambini separati, non possiamo stare coi bambini a due a due, ma tutti insieme. Ci sentiamo osservati. Veramente sotto esame. Potremo prenderli in braccio? Si potrà? Sarà giusto?  Mi sento ospite, non voglio sembrare maleducata, ma nemmeno non dimostrare affetto, non avere un contatto. L'unico contatto possibile è il gioco. Questi bambini sono adorabili. Natascia adora il fratellino, appena può, appena riesce a distrarsi dalla gioia di potere giocare da sola nel grande salone con tutti i giochi finalmente a sua disposizione, rincorre e abbraccia il fratello. Nel salone ci sono diversi giochi, e Natascia li prende tutti, e con tutti vuole giocare. Ci invita a giocare con lei, a sederci al tavolino a infilare gli anelli di plastica a scala dentro il piolo. Vuole che la guardiamo in tutto quello che fa. Anche il piccolo Dima gioca, ma è unpochino più controllato con noi. E' entusiasta dei dondoli di legno e galoppa velocissimo. Mi preoccupo che cada e cerco di tenerlo, ma lui scosta la mano. Corre velocissimo da un punto all'altro del salone. Si tuffa nel recinto con le palline di plastica colorate, ci guarda e ride divertito. Passa praticamente tutto il tempo occupando una mano a tirarsi su i pantaloni che gli cadono. Ha un completino blu, ma i pantaloni sono enormi, anche la maglietta. Hanno sandalini di stoffa con la suolina di gomma, con la punta tagliata, da dove esce la calzina. I dondoli e i tavolini sono molto belli: nello stile russo, laccati in rosso oro e nero a fogli e fiori, con i decori tradizionali. Iniziamo a prendere confidenza, i bambini con noi l'hanno invece avuta fin da subito. Natascia adora la macchina fotografica, vuole fare anche lei le foto; le spieghiamo come funziona e si rivela subito una abilissima fotografa. Abbiamo anche un riproduttore di cd, per sentire la musica con le cuffiette, e facciamo sentire a Dima delle canzoni. Si sorprende del funzionamento. Mette le cuffiettine nelle orecchie, ma dopo poco le toglie e avvicina l'orecchio direttamente al riproduttore dove ci ha visto mettere il disco. E' stupito dicome funzioni strana la cosa e ci guarda senza dir nulla, ma parlando con gli occhi: "che magia è questa?". Dopo una mezz'ora arriva Vassili, il responsabile del dipartimento che farà le veci della direttrice. Parla un po' con le signore presenti e dopo ci chiama per il colloquio. Capiamo subito che la cosa è seria. Ci fa un terzo grado che non ci hanno fatto in Italia neanche psicologi, assistenti sociali e giudici.  Come farebbe un buon padre di famiglia che si assicura del futuro della propria figlia nei confronti del futuro genero, ci fa domande molto dirette e molto pratiche.  Noi scendiamo dalla nostra nuvoletta dove ci eravamo appena sistemati, e precipitiamo senza freni nella realtà,  nel terrore che qualcosa non ci renda idonei a essere i genitori dei bambini che abbiamo appena conosciuto.

 

"Perché volete adottare dei bambini?

Perché non ne avete avuti vostri?

Siete sterili?

Perché volete adottare bambini russi?

Cosa sapete della Russia?

Siete già stati in Russia?

Avete una casa vostra?

Com'è grande? Quanto vale? Quanto costa?

Quanto guadagnate? Avete un mutuo, un prestito da rendere?"

 

Rispondiamo brevemente, quasi a monosillabi, sorpresi dalle domande. Si ferma e guarda gliappunti che man mano prende. Ci dice che gli sembra che siamo un po' a rischio, potremmo non guadagnare abbastanza per pagare il mutuo. Quanto aveva ragione!!!! Bluffiamo sfoderando sicurezza e controllo della situazione, ma sappiamo che ha visto giusto!

 

"Avete i genitori?

Cosa darete ai vostri figli, a questi bambini?

Questi bambini hanno già rifiutato due coppie, una coppia harifiutato Dima, perché è molto piccolo, avete visto bene che è molto piccolo?

Siete disposti a prenderlo anche se è così sottosviluppato?"

 

Siamo frastornati dalle domande. Nessuno ci ha detto che dovevamo giustificare la nostra presenza lì. Nessuno ci ha preparato. Non rispondiamo bene. Ci sentiamo come quando a scuola ti interrogano di sorpresa e la lezione l'avevi letta, manon la ricordi bene e rispondi un po' così. Sbrigativamente,  sperando di non dire cose troppo sbagliate. Cosa sappiamo della Russia? Io guardavo la ginnastica artistica in televisione, mio papà è stato in Russia negli anni settanta. 

 

"Si, va bene lo sport e il turismo, ma oltre a quello?"

 

No, pervenire a vedere i nostri figli, non abbiamo studiato la storia russa. E' statoun caso arrivare a presentare i documenti per l'adozione in federazione russa. Poteva essere qualunque altra parte del mondo. Ma questo ci rendiamo conto che al signor Vassili, orgoglioso del suo paese, e titubante nel dare per sempre due figli della grande Russia all'Italia, che tanti morti ha lasciato nellec ampagne intorno a Voronezh, non lo possiamo dire. Stia tranquillo Signor Vassili. In Italia Voronezh non la conosce nessuno. Nessuno sa che esiste una città di un milione di abitanti a cinquecento chilometri a sud di Mosca. Nemmeno noi prima di venirci. E non c'è nessuno in Italia che ormai ricordi imorti della grande guerra che qui ci sono stati. I bambini quando arriveranno in Italia troveranno tante donne russe, sposate a tanti italiani. E oggi della Russia in Italia si ricordano solo modelle e tenniste. E le foto di Putin insieme a Berlusconi. Vivranno bene i bambini in Italia. Saremo bravi genitori? Non lo so. Meglio di altri? Peggio di altri? Sicuramente meglio di quelli che hanno avuto fino ad ora. Finalmente Vassili ci lascia liberi di tornare a giocare coi bambini. Ci domanda però se siamo disposti a tornare in Russia  ancora una volta a incontrare i bambini, prima della sentenza di adozione in tribunale, che potrebbe essere tra tre oquattro mesi. Che vediamo i bambini solo quel giorno, gli sembra poco, perché ibambini possano affezionarsi almeno un po' a noi. Non abbiamo ancora passato l'esame?  Ancora un altro viaggio oltreai tre in programma? Finiamo il colloquio sconsolati e depressi, ma dobbiamo tornare a giocare coi bimbi e mettiamo da parte ancora per un po' l'angoscia che ci ha preso. Mentre giochiamo Vassili chiama Natascia. Le chiede se vuole venire a casa nostra, restare con noi. Natascia risponde che questi signori (noi) sono simpatici (meno male!), ma che a casa nostra non vuole venire. Vuole venire a trovarci, ma non rimanere. Alla fine dell'incontro, Natascia chiede all'interprete di invitarci, assolutamente dobbiamo andare ancora a trovarli per la "festa dell'autunno" che ci sarà tra qualche settimana nell'istituto. 

Ci sembra bello che almeno ci voglia rivedere. Ci salutiamo con sorrisi e un bacio. Caiociao con la manina. Quando se ne vanno i bambini sono tristi. Anche noi. Moltissimo. Appena saliamo in macchina ci assale l'angoscia. Perché questo incontro, che doveva essere meraviglioso, ci lascia questo amaro in bocca? Ibambini sono strepitosi. Bellissimi. Allegri. Giocosi. Ironici. Intelligenti. Abbiamo una paura abissale e inconfessata che non diventino nostri figli. Quando siamo in macchina, sale ed esce tutta la tensione. La referente ci dice che hanno concordato che non faremo un altro viaggio, ma che torneremo il giorno dopo e vedremo i bambini ancora per due ore. Dobbiamo anche assolutamente sviluppare le fotografie fatte, per lasciarle in istituto, così che le veda la direttrice e anche i bambini quando saremo via. Siamo felici diquesta nuova possibilità di vedere i bambini. Ma io piango per tutto il viaggio fino a Voronezh. Per tutta la sera riecheggerà nelle orecchie la sfilza didomande che ci ha fatto Vassili. Ci ha messo di fronte ai rischi. Alle nostre responsabilità. Non ci ha perdonato niente.

Siete sicuri di volere questo bambino così piccolo? Questo bambino che a quattro annie mezzo parla pochissimo? (Sapremo solo dopo quattro mesi, in occasione dell'ultimo viaggio, che l'istituto dove sono è un istituto per bambini audiolesi). Dima è piccolo. Ma quanto piccolo, ci domandiamo. Cosa ne sappiamo noi delle misure precise che deve avere un bambino di quattro anni e mezzo? E se ha delle disfunzioni gravi? Se è affetto da nanismo? Se non parlerà mai? Siamo disposti? Saremmo capaci? Ma come potremo, da ora in poi, vivere senza quei bambini? C'è un filo che ci ha legato e che ormai non è più possibile rompere.  Quei bambini son già nostri figli. Sono nati da noi in un secondo parto nel momento stesso in cui li abbiamo visti.  Lasciarli sarebbe ormai come abbandonare un figlio. Per quei bambini significherebbe essere rinnegati una seconda volta. Sono figli che hai visto per un giorno, ma sempre figli. Tuoi. Arriviamo in albergo, l'interprete e la referente ci consegnano dei fogli da compilare e firmare. Ci chiedono lì, in piedi, nella hall dell'albergo a tre stelle, nel via vai della gente che arriva per l'ora di cena, se siamo disposti a firmare i documenti con cui ci impegniamo ad adottare i bambini.

E' lì che diciamo quel sì che vale una vita.

Dire si ora, e accettare di andare a Mosca dal notaio per la registrazione ufficialed ella domanda allo stato russo.  Siamo stremati, confusi, ma diciamo di si. Litigo con l'interprete perché mi dice che dobbiamo per tre volte portare il foglio in istituto. Mi agito chiedendo perché dobbiamo andare in istituto per tre volte? Dopo qualche spiegazione concitata, si capisce che in realtà intendeva tre copie del foglio, firmare tre volte i tre fogli. Ci salutano sorridenti e soddisfatte. Anche loro stanche e nervose, ma soddisfatte. Il loro lavoro è arrivato finalmente ad un primo traguardo.

 

Mailing list
Iscrivetevi alla sede a voi più vicina. Riceverete anche le notizie nazionali più rilevanti.

email:

sede (opzionale):


Notiziario

Adozione e dintorni
maggio-giugno 2016



Collana GSD
Edizioni ETS


Consulta la collana
Edizioni ETS