GSD Informa
Articolo
Romania
Autore/i:Luigi Bulotta
Data: 06-09-2007
Argomento: Paesi
Il 1989 ha rappresentato per la Romania l’anno della svolta. La scomparsa di Ceausescu e la caduta del Muro di Berlino hanno significato però, oltre la fine della dittatura, la rinascita dei processi democratici e dei contatti con l’occidente, il venir meno delle certezze politiche, sociali ed economiche che fino a quel momento avevano consentito, nonostante la povera economia a base soprattutto agricola, la sopravvivenza dell’ex paese satellite dell’Unione Sovietica.
Sotto il regime di Ceausescu vigevano agevolazioni e sovvenzioni per le famiglie numerose. Lo stato garantiva scuole per tutti e contributi alle famiglie bisognose. Il paese era pieno di istituti, nei quali le famiglie potevano tenere i propri figli dalla mattina alla sera, per tutta la settimana o anche per l’intero anno scolastico. L’unico obbligo cui le famiglie erano tenute era di andare periodicamente a trovarli.
I bambini per i quali non si faceva vivo nessuno per oltre sei mesi avrebbero dovuto essere dichiarati adottabili. Il condizionale è d’obbligo perché era pratica comune per gli istituti, per non perdere le sovvenzioni statali, continuare ad occuparsi di loro senza dichiararne lo stato di abbandono.
Come possa essersi evoluta una situazione del genere col crollo del comunismo è facilmente immaginabile. Istituti pieni zeppi di bambini abbandonati dalle famiglie e senza sovvenzioni statali si sono presto trasformati in veri e propri lager dai quali chi poteva scappava.
Nel frattempo la Romania, a causa dei continui scandali in materia di traffici di minori, e su pressioni della comunità europea che vigilava sul conseguimento di risultati che permettessero l’entrata del paese in europa, ha realizzato una legge per adeguare il paese agli standard europei in tema di diritti dei minori. Di fatto la legge n.273, entrata in vigore nel 2005, costituisce un blocco alle adozioni internazionali, che già una moratoria rumena aveva sospeso nel 2001.
Secondo un rapporto della Commissione Europea stilato a settembre 2006: “Riguardo alla protezione dei diritti dell’infanzia sono stati fatti ulteriori progressi. Le autorità hanno continuato l'applicazione della precedente legislazione sui diritti dei bambini e sull’adozione approvata nel corso del 2005, che ha armonizzato la legislazione rumena con le disposizioni della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino e portato la Romania al livello degli stati membri. Il numero di bambini istituzionalizzati sta diminuendo. Le condizioni di vita nelle rimanenti istituzioni sono migliorate considerevolmente e sono attualmente, in generale, sopra gli standard. Molti bambini hanno fatto ritorno nelle loro famiglie o sono stati affidati alle cure di persone addestrate per questo scopo.”
E ancora:
“Per quanto riguarda la situazione dei bambini con inabilità, le autorità rumene hanno creato un gruppo di lavoro che esaminerà le condizioni di vita di questi bambini nei centri di disposizione, negli ospedali e nei collegi con il proposito di migliorarle.”
Tutto bene quindi? Sono realmente migliorate le condizioni dei bambini rumeni?
Secondo quanto denunciato da Pierre Poupard, rappresentante UNICEF in Romania, in un recente articolo apparso su Le Monde, i bambini sono protetti soltanto sulla carta.
“..ad uno sguardo più attento e confrontando gli standard di vita della popolazione della Romania e gli altri 10 paesi che hanno aderito all’Unione Europea nel 2004, gli indicatori disponibili indicano un deficit importante. Nel 2005, il tasso di mortalità fra i bambini sotto i cinque anni (misurato dal numero di morti su mille feti nati vivi) era 17 % confrontato ad una media compresa tra il 7% e l’8% negli altri 10 paesi. Ed il livello di povertà è molto, molto più alto in Romania in cui il reddito pro-capite è valutato essere circa il 40% del reddito pro-capite degli altri dieci paesi che si sono associati nel 2004. Leggendo fra le righe del rapporto di Verifica e Controllo della Commissione Europea per quanto riguarda la protezione dei diritti del bambino, è chiaro che ci sono almeno due problemi che richiedono particolare attenzione: Il problema dell’ abbandono di bambini nei reparti ospedalieri di maternità e nei reparti pediatrici ed il problema dei bambini con le inabilità gravi che vivono nelle istituzioni residenziali.”
Il primo problema troverebbe riscontro nelle dichiarazioni scioccanti rilasciate nei primi mesi del 2006 da Theodora Bertzi, rappresentante dell’Ufficio rumeno per le adozioni: “Ci sono voci secondo le quali bambini abbandonati nelle cliniche di maternità o nei reparti di pediatria verrebbero acquistati per cifre tra i 4.000 e i 10.000 euro”.
Le condizioni dei bambini disabili sono state oggetto di uno scandalo che è partito dalla pubblicazione sui giornali americani New York Times e Washington Post di un rapporto elaborato dall'Organizzazione non governativa Mental Disability Rights International che ha svelato le condizioni disumane in cui vivono centinaia di bambini disabili rinchiusi in istituti e ospedali psichiatrici rumeni, soprattutto a Timisoara e Braila.
E’ legittimo domandarsi perchè le autorità rumene spingano in maniera indiscriminata verso la soluzione del rientro in famiglia dei minori in stato di abbandono. Dal 2003 ad oggi, sono stati reintegrati oltre 15.000 minori, indipendentemente dalle condizioni della famiglia di origine.
Si tratta di bambini o adolescenti allontanati dalla famiglia spesso perché vittime di violenze o abusi, che sono transitati in istituto o presso assistenti familiari per poi venire reinseriti nella famiglia d’origine. Secondo il “Jurnalul National”, la motivazione di questa scelta va cercata nel tentativo di dimostrare all’Unione Europea che questo tipo di politiche sociali sta gradualmente risolvendo il problema dell’abbandono nel paese. Un ulteriore motivo è da ricercare senz’altro nella difficoltà di continuare a sostenere un sistema di tutela dell’infanzia eccessivamente costoso: più di 42.000 impiegati per i circa 76.000 bambini che sono all’interno del sistema di protezione. Sempre dalle colonne del “Jurnalul National” viene denunciata la totale mancanza di protezione per i bambini che non vengono registrati alla nascita. Nel paese il fenomeno ha contorni vaghi e difficilmente identificabili: sono migliaia i bambini invisibili, senza un certificato di nascita, che non possono in alcun modo far valere il diritto all’educazione, alla salute, al lavoro. Per questi bambini l’abbandono è ancora più difficile da sanare in quanto, di fatto, non esistono. A loro è negato persino il diritto ad avere una famiglia disposta ad accoglierli.
Secondo l’UNICEF la causa principale di abbandono in Romania sarebbe la mancanza di educazione visto che il 42% delle mamme che abbandonano i loro bambini non hanno frequentato la scuola e vivono sotto la soglia della povertà. Ma non si tratta solo di abbandono se, come denunciato da una coppia di giornalisti del “The Sunday People”, nel villaggio rom di Bazau, hanno conosciuto famiglie e ragazze madri disposte a vendere il proprio figlio per una cifra corrispondente a circa 3.000 euro. Un nuovo fenomeno emerge da un sondaggio secondo il quale sarebbero almeno 60.000 i minori che vivono in famiglie allargate (nonni e parenti) perché i genitori si sono trasferiti all’estero per cercare un lavoro. Le organizzazione umanitarie romene ed europee hanno lanciato un appello affinché venga promosso dal governo di Bucarest il ricongiungimento familiare per ognuno di questi bambini. Parallelamente, il 37,5% dei minori stranieri non accompagnati, secondo il Comitato Minori Stranieri, proviene dalla Romania. Si tratta di minori, soprattutto tra i 15 e 17 anni, ma ve ne sono anche di 7-8, che si trovano in Italia privi di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per loro legalmente responsabili. Rappresentano un fenomeno che desta preoccupazione in quanto sono, al momento, una delle categorie più vulnerabili, a rischio di sfruttamento e di coinvolgimento in attività criminali nel nostro Paese.
Una citazione a se merita il caso delle adozioni internazionali sospese. Si tratta di casi di bambini romeni che avevano conosciuto i loro genitori adottivi prima della moratoria sulle adozioni internazionali del 2001 e la nuova legislazione romena del 2005, ma i cui procedimenti adottivi non si sono mai conclusi a causa delle variazioni legislative intercorse. Il 5 luglio 2006 la Dichiarazione 23 sulla risoluzione dei 1100 casi pendenti, ha ottenuto la maggioranza nel Parlamento Europeo.
La dichiarazione chiedeva di rivalutare i casi dei bambini romeni che rientrano in questa casistica e faceva appello affinchè Bucarest autorizzasse l’adozione internazionale nei casi in cui essa fosse stata ritenuta appropriata. Di fatto, ad oggi, la situazione, vecchia di anni, attende ancora una soluzione. Vi sono coppie che combattono ancora perché venga loro riconosciuto il diritto di completare l’iter adottivo iniziato, altre che meditano di trasferirsi in Romania per un anno ed acquisire così i requisiti per poter effettuare un’adozione nazionale.
Sotto il regime di Ceausescu vigevano agevolazioni e sovvenzioni per le famiglie numerose. Lo stato garantiva scuole per tutti e contributi alle famiglie bisognose. Il paese era pieno di istituti, nei quali le famiglie potevano tenere i propri figli dalla mattina alla sera, per tutta la settimana o anche per l’intero anno scolastico. L’unico obbligo cui le famiglie erano tenute era di andare periodicamente a trovarli.
I bambini per i quali non si faceva vivo nessuno per oltre sei mesi avrebbero dovuto essere dichiarati adottabili. Il condizionale è d’obbligo perché era pratica comune per gli istituti, per non perdere le sovvenzioni statali, continuare ad occuparsi di loro senza dichiararne lo stato di abbandono.
Come possa essersi evoluta una situazione del genere col crollo del comunismo è facilmente immaginabile. Istituti pieni zeppi di bambini abbandonati dalle famiglie e senza sovvenzioni statali si sono presto trasformati in veri e propri lager dai quali chi poteva scappava.
Nel frattempo la Romania, a causa dei continui scandali in materia di traffici di minori, e su pressioni della comunità europea che vigilava sul conseguimento di risultati che permettessero l’entrata del paese in europa, ha realizzato una legge per adeguare il paese agli standard europei in tema di diritti dei minori. Di fatto la legge n.273, entrata in vigore nel 2005, costituisce un blocco alle adozioni internazionali, che già una moratoria rumena aveva sospeso nel 2001.
Secondo un rapporto della Commissione Europea stilato a settembre 2006: “Riguardo alla protezione dei diritti dell’infanzia sono stati fatti ulteriori progressi. Le autorità hanno continuato l'applicazione della precedente legislazione sui diritti dei bambini e sull’adozione approvata nel corso del 2005, che ha armonizzato la legislazione rumena con le disposizioni della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino e portato la Romania al livello degli stati membri. Il numero di bambini istituzionalizzati sta diminuendo. Le condizioni di vita nelle rimanenti istituzioni sono migliorate considerevolmente e sono attualmente, in generale, sopra gli standard. Molti bambini hanno fatto ritorno nelle loro famiglie o sono stati affidati alle cure di persone addestrate per questo scopo.”
E ancora:
“Per quanto riguarda la situazione dei bambini con inabilità, le autorità rumene hanno creato un gruppo di lavoro che esaminerà le condizioni di vita di questi bambini nei centri di disposizione, negli ospedali e nei collegi con il proposito di migliorarle.”
Tutto bene quindi? Sono realmente migliorate le condizioni dei bambini rumeni?
Secondo quanto denunciato da Pierre Poupard, rappresentante UNICEF in Romania, in un recente articolo apparso su Le Monde, i bambini sono protetti soltanto sulla carta.
“..ad uno sguardo più attento e confrontando gli standard di vita della popolazione della Romania e gli altri 10 paesi che hanno aderito all’Unione Europea nel 2004, gli indicatori disponibili indicano un deficit importante. Nel 2005, il tasso di mortalità fra i bambini sotto i cinque anni (misurato dal numero di morti su mille feti nati vivi) era 17 % confrontato ad una media compresa tra il 7% e l’8% negli altri 10 paesi. Ed il livello di povertà è molto, molto più alto in Romania in cui il reddito pro-capite è valutato essere circa il 40% del reddito pro-capite degli altri dieci paesi che si sono associati nel 2004. Leggendo fra le righe del rapporto di Verifica e Controllo della Commissione Europea per quanto riguarda la protezione dei diritti del bambino, è chiaro che ci sono almeno due problemi che richiedono particolare attenzione: Il problema dell’ abbandono di bambini nei reparti ospedalieri di maternità e nei reparti pediatrici ed il problema dei bambini con le inabilità gravi che vivono nelle istituzioni residenziali.”
Il primo problema troverebbe riscontro nelle dichiarazioni scioccanti rilasciate nei primi mesi del 2006 da Theodora Bertzi, rappresentante dell’Ufficio rumeno per le adozioni: “Ci sono voci secondo le quali bambini abbandonati nelle cliniche di maternità o nei reparti di pediatria verrebbero acquistati per cifre tra i 4.000 e i 10.000 euro”.
Le condizioni dei bambini disabili sono state oggetto di uno scandalo che è partito dalla pubblicazione sui giornali americani New York Times e Washington Post di un rapporto elaborato dall'Organizzazione non governativa Mental Disability Rights International che ha svelato le condizioni disumane in cui vivono centinaia di bambini disabili rinchiusi in istituti e ospedali psichiatrici rumeni, soprattutto a Timisoara e Braila.
E’ legittimo domandarsi perchè le autorità rumene spingano in maniera indiscriminata verso la soluzione del rientro in famiglia dei minori in stato di abbandono. Dal 2003 ad oggi, sono stati reintegrati oltre 15.000 minori, indipendentemente dalle condizioni della famiglia di origine.
Si tratta di bambini o adolescenti allontanati dalla famiglia spesso perché vittime di violenze o abusi, che sono transitati in istituto o presso assistenti familiari per poi venire reinseriti nella famiglia d’origine. Secondo il “Jurnalul National”, la motivazione di questa scelta va cercata nel tentativo di dimostrare all’Unione Europea che questo tipo di politiche sociali sta gradualmente risolvendo il problema dell’abbandono nel paese. Un ulteriore motivo è da ricercare senz’altro nella difficoltà di continuare a sostenere un sistema di tutela dell’infanzia eccessivamente costoso: più di 42.000 impiegati per i circa 76.000 bambini che sono all’interno del sistema di protezione. Sempre dalle colonne del “Jurnalul National” viene denunciata la totale mancanza di protezione per i bambini che non vengono registrati alla nascita. Nel paese il fenomeno ha contorni vaghi e difficilmente identificabili: sono migliaia i bambini invisibili, senza un certificato di nascita, che non possono in alcun modo far valere il diritto all’educazione, alla salute, al lavoro. Per questi bambini l’abbandono è ancora più difficile da sanare in quanto, di fatto, non esistono. A loro è negato persino il diritto ad avere una famiglia disposta ad accoglierli.
Secondo l’UNICEF la causa principale di abbandono in Romania sarebbe la mancanza di educazione visto che il 42% delle mamme che abbandonano i loro bambini non hanno frequentato la scuola e vivono sotto la soglia della povertà. Ma non si tratta solo di abbandono se, come denunciato da una coppia di giornalisti del “The Sunday People”, nel villaggio rom di Bazau, hanno conosciuto famiglie e ragazze madri disposte a vendere il proprio figlio per una cifra corrispondente a circa 3.000 euro. Un nuovo fenomeno emerge da un sondaggio secondo il quale sarebbero almeno 60.000 i minori che vivono in famiglie allargate (nonni e parenti) perché i genitori si sono trasferiti all’estero per cercare un lavoro. Le organizzazione umanitarie romene ed europee hanno lanciato un appello affinché venga promosso dal governo di Bucarest il ricongiungimento familiare per ognuno di questi bambini. Parallelamente, il 37,5% dei minori stranieri non accompagnati, secondo il Comitato Minori Stranieri, proviene dalla Romania. Si tratta di minori, soprattutto tra i 15 e 17 anni, ma ve ne sono anche di 7-8, che si trovano in Italia privi di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per loro legalmente responsabili. Rappresentano un fenomeno che desta preoccupazione in quanto sono, al momento, una delle categorie più vulnerabili, a rischio di sfruttamento e di coinvolgimento in attività criminali nel nostro Paese.
Una citazione a se merita il caso delle adozioni internazionali sospese. Si tratta di casi di bambini romeni che avevano conosciuto i loro genitori adottivi prima della moratoria sulle adozioni internazionali del 2001 e la nuova legislazione romena del 2005, ma i cui procedimenti adottivi non si sono mai conclusi a causa delle variazioni legislative intercorse. Il 5 luglio 2006 la Dichiarazione 23 sulla risoluzione dei 1100 casi pendenti, ha ottenuto la maggioranza nel Parlamento Europeo.
La dichiarazione chiedeva di rivalutare i casi dei bambini romeni che rientrano in questa casistica e faceva appello affinchè Bucarest autorizzasse l’adozione internazionale nei casi in cui essa fosse stata ritenuta appropriata. Di fatto, ad oggi, la situazione, vecchia di anni, attende ancora una soluzione. Vi sono coppie che combattono ancora perché venga loro riconosciuto il diritto di completare l’iter adottivo iniziato, altre che meditano di trasferirsi in Romania per un anno ed acquisire così i requisiti per poter effettuare un’adozione nazionale.