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Soggiorni terapeutici per i bambini di Cernobyl: una breve vacanza forse senza lieto fine

Autore/i: Gabriella Pompei

Data: 22-11-2007
Argomento: Paesi

LA STORIA DI CAROLINA

Carolina è un’insegnante, suo marito è primario al Reparto di Pediatria, due figli ora all’università: una bella famiglia che cinque anni fa ospita per la prima volta un ragazzino di otto anni nell’ambito del progetto di soggiorni terapeutici offerti ai bambini di Cernobyl.
Da quel primo incontro V*** è tornato periodicamente in Italia, due volte l’anno, per due mesi e mezzo in estate, per un mese a Natale. In Italia è stato accolto con calore e curato con amore e competenza, perché V*** ha qualche problema di salute: è affetto da sindrome ADHD, che determina una forte iperattività ed un grave deficit di attenzione.
Quando Carolina ha saputo che V*** era sempre vissuto in Istituto o in Casa famiglia e che era legalmente adottabile perché in stato di abbandono fin dalla nascita, ha deciso in pieno accordo con i suoi familiari di avviare le pratiche per ’adozione e poter dare a V*** una famiglia vera. Arrivata l’idoneità quattro anni fa, è iniziato l’iter lungo, difficile ed ora a rischio di non potersi concludere felicemente.
Ho incontrato Carolina per capire, perché al di là delle reazioni emotive che ci portano a solidarizzare immediatamente con un bambino e una coppia che desiderano diventare una famiglia, c’è il desiderio di comprendere e di aiutare, senza fare danno, senza il clamore che enfatizza i sentimenti e può compromettere delicati rapporti internazionali, generando equivoci, false aspettative, amare delusioni. Al centro c’è e deve rimanere l’interesse del bambino

-E’ stato un iter difficile?
Tutto l’iter burocratico non è stato di per sé difficile, ma è stato vissuto dalla mia famiglia con molta apprensione. Ci siamo sentiti sotto osservazione in maniera molto meticolosa, forse perché abbiamo già dei figli “di pancia”. Mi dicevo che tutto questo era necessario, che era giusto essere sicuri che i bambini venissero adottati da genitori idonei. Molto più difficile invece è stata la nostra vita dopo l’idoneità del tribunale. A quel punto ci sentivamo pronti e pensavamo che la pratica potesse risolversi con un giro di carte bollate, ed invece siamo entrati in un balletto di apertura e chiusura delle adozioni da parte della Bielorussia che ci ha logorato e fatto soffrire molto noi e soprattutto V***.

-Ora a che punto siete?
Ci sentiamo praticamente in un limbo. Dal mese di luglio dalla Bielorussia arrivano soltanto risposte di diniego alle pratiche di adozione inoltrate dagli Enti italiani dopo gli accordi di marzo. L’Ente al quale ci siamo rivolti mi sembra abbia avuto solo tre risposte positive a fronte di 130 negative. Noi a tutt’oggi non abbiamo avuto risposta. Penso che sia intuibile quali possano essere i nostri sentimenti e quelli del bambino!

-Cosa pensate di fare in questa situazione?
Razionalmente so che non possiamo fare molto: dobbiamo solo attendere. Ma io penso che abbiamo perlomeno il dovere di parlarne con tutti, di far diventare il problema di questi bambini UN CASO. Non penso che sia giusto far passare inosservato il fatto che ci sono bambini che hanno trovato l’affetto di una famiglia, e che rischiano invece di rimanere ostaggio di problemi politico-economici di uno stato.

-Pensi che sia un problema politico con implicazioni anche economiche?
Si, penso che i bambini che si trovano negli Istituti, inviati in Italia per i soggiorni temporanei, vengano utilizzati come merce di scambio per trattati economici e commerciali.

-Cosa potrebbe fare il governo italiano nel piano dei rapporti internazionali?
L’attuale governo sta dimostrando impegno verso il problema delle famiglie che vogliono adottare un bambino bielorusso, anche attraverso l’ascolto di rappresentanze di genitori che meglio conoscono il problema. Al governo si può rimproverare, a mio avviso, una scarsa attenzione al problema oltre che la mancanza di un’adeguata giurisdizione in merito ai soggiorni terapeutici. Questo tipo di ospitalità, iniziata con indubbi fini benefici, attualmente sembra solo un mezzo per far venire in Italia bambini anche in condizione di adottabilità e per questo più facilmente portati a cercare l’affetto e la sicurezza di una famiglia. Un modo per creare una spinta ed un’attenzione verso questo Paese, che sembra voler lucrare anche da quella che dovrebbe essere un’attività benefica.
Penso che il nostro governo dovrebbe disciplinare in modo più rigoroso e coerente la pratica dei Soggiorni terapeutici, per evitare che si creino false aspettative e consentendo all’ospite di rimanere per periodi più lunghi qualora affetto da gravi problemi di salute. In questa prospettiva diventa indispensabile una adeguata normativa sull’affido internazionale.

-Come state vivendo questa situazione in famiglia?

Confesso che personalmente alterno giorni di fiducia ad altri in cui mi sento particolarmente giù. Io e i miei familiari ne parliamo però sempre con spirito positivo. Cerchiamo di convincerci che V*** è già stato abbastanza sfortunato nella vita, e che oggi, a 13 anni, il suo diritto ad avere una famiglia che si prenda cura di lui e che lo ami non potrà alla fine essere negato.

-Avete modo di sentire il bambino? Come sta vivendo questo momento?
Sento il bambino periodicamente, per telefono. A lui hanno detto che “non potrà mai diventare italiano” ma potrà continuare a venire in Italia per 3 o 4 mesi l’anno. Quando mi ha confessato questa cosa era molto triste, ma poi ha aggiunto che spera che noi possiamo fare qualcosa. Mi ha chiesto di scrivere una lettera a Lukashenko, chissà che non abbia ragione?

LA STORIA DI ANNARITA
La storia di Annarita è solo in parte sovrapponibile a quella di Carolina: anche in questo caso il punto di partenza è costituito dai soggiorni terapeutici, anche in questo caso ci sono un bambino solo, questa volta orfano, adottabile, e una coppia che vuole dargli una famiglia.
Annarita e suo marito non hanno figli biologici, hanno ottenuto da tempo l’idoneità all’adozione, sono in contatto con un’Associazione , come previsto dalla normativa entrata in vigore nel 2000, e sono stati più volte chiamati dal Tribunale dei minori per l’adozione nazionale di bambini anche molto piccoli.
Ma hanno dovuto rinunciare. Non possono adottare un bambino italiano fino a quando la pratica con la Bielorussia è in corso, non possono dare una famiglia ad un bambino italiano senza rinunciare a V***: dovrebbero insomma smettere di battersi per ottenere un bambino che è già entrato di fatto a far parte della loro vita.
Ora, inoltre, hanno ricevuto dal Governo una comunicazione che sembra togliere ogni speranza al lieto fine: V*** rimarrà in Casa famiglia, perché per il momento sta bene nell’ambiente in cui si trova, ha stabilito buoni rapporti con gli altri e non c’è motivo di modificare tale situazione. Continuerà forse, se glielo permetteranno, a venire in Italia durante le vacanze: in estate e a Natale.
Perderà così l’opportunità di vivere in una vera casa, di essere accudito ed amato da una mamma e un papà, di essere curato, sollecitato, mandato regolarmente a scuola., messo in condizione di crescere più serenamente.
Annarita e suo marito, che hanno già “perso” i bimbi a cui hanno dolorosamente detto no, rischiano così di perdere anche V*** : dovranno ricominciare da capo, più delusi, più soli e con un grande vuoto perché una coppia accoglie un bambino nel momento in cui sa che quel bambino è adottabile, nel momento in cui percepisce che quel bambino vuole diventare figlio e con fiducia aspetta che i “grandi” gli diano un nido per sempre.

- Quando avete aderito all’iniziativa dei soggiorni terapeutici, avevate già l’idoneità all’adozione?

Si avevamo l’idoneità da circa sei mesi e avevamo già dato mandato all’Ente per adozioni in Moldavia quattro mesi prima, per uno o due minori fino a sei anni di età.

- Perché avete voluto fare l’esperienza del soggiorno terapeutico? Sapevate che sarebbe stato comunque temporaneo?
La scelta di un’accoglienza temporanea per risanamento terapeutico di un bambino/a bielorusso l’abbiamo fatta quando l’associazione, essendo soci ci ha inviato una scheda di partecipazione a tali progetti.
Sapevamo che l’attesa per l’abbinamento di un bambino sarebbe stata minimo di due anni e questa iniziativa ci sembrava un gesto concreto di solidarietà per un minore che aveva effettivo bisogno di “cambiare aria”.
L’Ente ci ha messo al corrente che erano bambini dai sette anni in su, di famiglia o orfani. L’Ente non fornisce altre informazioni alla coppia in merito al minore. Solo pochi giorni prima del suo arrivo abbiamo saputo il nome e l’età. Un maschietto di sette anni.
E solo dopo un mese circa ci hanno dato qualche informazione sul suo stato giuridico, orfano di madre, al padre avevano tolto la potestà, non ha fratelli. Non avevano altre notizie e anche queste non erano certe.

- Nel frattempo a che punto era la vostra pratica con l’adozione nazionale?
La nostra pratica con l’adozione nazionale era depositata da un anno e mezzo in tribunale e non ci avevano mai chiamati per un eventuale abbinamento.

- Come mai avete deciso di tentare l’iter dell’adozione per V***?
Finita l’estate, il bambino è ripartito e noi abbiamo capito che il legame che ci univa era andato oltre l’accoglienza, anche se avevamo cercato di amarlo con distacco, se la nostra idea di adozione era inizialmente orientata verso un bambino piccolo ed anche se non avevamo nessuna certezza.
Chiediamo informazioni all’Ente sulla possibilità di adottare V*** e ci viene risposto che c’è una possibilità, in quanto la Bielorussia aveva intenzione di riavviare le pratiche di adozione in Italia e chiedeva un elenco di famiglie disposte ad adottare i minori in stato di abbandono.
Un discorso molto generico, senza nessuna garanzia in quanto non sapevamo l’effettivo stato giuridico del bambino.
Accettiamo e l’Ente presenta tale istanza. Purtroppo, proprio nello stesso periodo, una famiglia di Genova non ha permesso ad una bambina accolta per il periodo estivo di rientrare nei termini stabiliti, trattenendola illegalmente e la Bielorussia ha bloccato tutte le pratiche di adozione ed anche le accoglienze terapeutiche.
I bambini non sono potuti tornare per le vacanze di Natale e solo nel maggio 2007 la situazione si è sbloccata con la firma di un accordo intergovernativo sulle accoglienze e sulle adozioni.
Per il periodo di Pasqua siamo stati in Bielorussia e abbiamo parlato con la direttrice dell’orfanotrofio che ci ha confermato lo stato di abbandono di V***. Il bambino solo allora è stato informato delle nostre intenzioni di adottarlo e quando la direttrice gli ha chiesto se voleva andare per sempre in Italia, le ha risposto di si perché lì c’è “la sua famiglia”.

- Vi avevano dato buone speranze? La vostra Associazione cosa vi ha consigliato?
Nel frattempo, il Tribunale dei minori ci ha chiamato per ben tre volte per l’eventuale abbinamento con un bambino italiano e quando il giudice ha deciso di affidarci una bambina piccolissima, abbiamo dovuto scegliere: accettare e rinunciare al nostro bimbo bielorusso o rinunciare all’adozione nazionale. Questo prevede la legge! La nostra scelta è stata imediata: abbiamo deciso di continuare con l’adozione internazionale, anche se non avevamo nessuna certezza se non l’amore per il nostro bambino.

- V*** è sempre tornato per le vacanze estive e natalizie?
Una volta placatasi la bufera scatenata dal caso di Maria, è stata riattivata l’ospitalità ai bambini bisognosi di soggiorno
terapeutico e V*** è tornato per l’estate, anche se non sapevamo ancora se la pratica di adozione fosse stata accolta.
A settembre purtroppo, appena dopo il rientro dei bambini, ci viene comunicato che in Bielorussia non veniva accettata la nostra richiesta di adozione.

- Quale motivazione hanno addotto dalla Bielorussia per comunicarvi che l’iter adottivo veniva interrotto?
In quanto “ il bambino si trova bene nell’orfanotrofio, ha buoni rapporti con gli altri bambini e l’interruzione del legami
affettivi creati tra i bambini avrà un effetto negativo per il futuro sviluppo dei rapporti famigliari”

- Cosa pensate di fare adesso?
Adesso siamo in attesa di proporre un eventuale ricorso, anche in considerazione che la Bielorussia ha respinto con motivazioni simili alla nostra più del 90% delle richieste italiane, circa 600 pratiche.

- Quali aspettative ha V*** nei vostri confronti?

Il bambino non riesce a capire tutto questo, si chiede, e soprattutto ci chiede, come mai prima gli era stato detto che presto sarebbe andato per sempre in Italia dalla sua mamma e dal suo papà e adesso non può.
Noi cerchiamo di fargli capire che non è colpa nostra né sua, ma la situazione è così complessa, è tutto talmente difficile….
Noi cerchiamo di rassicurarlo, gli ripetiamo che non lo abbandoneremo mai, che ormai è per noi nostro figlio anche se non è scritto sui documenti. Ma la sua domanda è sempre la stessa: perché?

- Se non riuscirete ad adottare V*** pensate che per lui sia meglio interrompere i contatti con voi o comunque continuerete ad ospitarlo durante le vacanze?
Se non sarà possibile adottarlo continueremo con le accoglienze e quando possibile andremo noi a trovarlo, noi non interromperemo i contatti , in quanto lo esporremmo nuovamente ad un abbandono, esperienza che ha già vissuto.
V*** non ha nessuno fuori dall’orfanotrofio che potrebbe prendersi cura di lui. Noi ci saremo per sempre.

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