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La speranza di un sorriso - Angola 2.a puntata
Autore/i: Michele AugurioData: 21-11-2006
Argomento: Paesi
Dopo un primo impatto pieno di profonda emotività, ho dovuto metabolizzare le mie emozioni per tentare di immergermi nella comprensione di una realtà profondamente diversa dal mio vissuto quotidiano. Per tre settimane sono stato attento osservatore di luoghi, atteggiamenti e relazioni tra i vari componenti delle Organizzazione non Governative sia italiane che straniere. Ho ascoltato i loro programmi, le realizzazioni conseguite, le loro difficoltà, le frustrazioni ed anche il permanere del loro entusiasmo.
E’ stato un percorso di conoscenza altalenante dal punto di vista tecnico: dopo ogni incontro avevo il bisogno urgente di ridefinire le priorità e sempre più spesso vivevo la contraddizione tra
interventi immediati di sopravvivenza e progettualità a più lungo respiro attraverso un intervento di tutela dell’infanzia, che ogni tanto rimbalzava nella mia mente come non prioritario di fronte ai bisogni primari.
E’ stato un susseguirsi di incontri con il mondo istituzionale e governativo, dal mondo universitario, al Ministero del Reinserimento sociale (MINARSE) a quello della Pubblica Istruzione, e soprattutto con le massime autorità della Polizia, per capirne gli umori e la loro condivisione all’ipotesi del nuovo progetto.
La fase di studio mi ha portato ad avvicinarmi e conoscere il “mondo scolastico” e la sua problematicità; basti pensare alla composizione delle classi che sono formate da più di cento bambini, al loro bisogno di reperimento di materiale scolastico di primaria necessità. Com’è diversa la realtà e com’è piena di contraddizioni: in Angola un bambino sorride quando riceve delle matite, gomme o quaderni, mentre da noi imperversa la tecnologia.
E’ stato comunque un incontro con l’entusiasmo di questi bambini, perché a differenza di quelli di strada hanno ancora la possibilità di immaginarsi nel futuro, di rispecchiarsi in un sogno, che spero non svanisca nella realtà del giorno dopo.
Gli incontri istituzionali sono stati molteplici e di diversa natura, avendo sempre però presente il tema della centralità minorile. La discussione di questa tematica ha richiesto di approfondire, per
esempio, la registrazione anagrafica del minori, ancora inesistente nel paese, ed ha portato all’avvio di un censimento anagrafico per tutti i cittadini angolani.
Altri incontri importanti sono stati quelli con il Ministro della Giustizia, i Giudici della famiglia ed i funzionari preposti, per conoscere la legislazione e soprattutto l’articolazione giuridica sulle competenze dei vari Tribunali Comunali e Provinciali, oltre la Corte Suprema gestori di varie competenze giurisdizionali.
In ogni ambito ho riscontrato interesse profondo e piena disponibilità, ma soprattutto, ciò che più mi ha meravigliato, un pieno interesse motivazionale nel nuovo progetto, anche se ancora non scritto e articolato.
Ogni giornata è stata piena di incontri e la sera diventava per me uno spazio di rielaborazione, riordino degli appunti e riflessioni; ma ancora uno spazio di ulteriori discussioni con gli operatori umanitari italiani che come me erano ospiti del Campo della Cooperazione italiana.
Per settimane ho vissuto con loro in case prefabbricate circondate da piante esotiche e fiori bellissimi, in un ambiente isolato completamente dall’esterno da un muro e da un pesante cancello scorrevole che era custodito ininterrottamente da guardie armate, a causa della guerra civile.
E’ stato per me un confronto importante, ho ascoltato il resoconto del loro lavoro di medici, animatori ed operatori diversi e con loro ho attraversato gran parte della realtà sociale dell’Angola.
La fase della studio sulla fattibilità progettuale stava per finire senza alcuna immagine tracciata
nella mente di alcun progetto; ero pieno di informazioni, ma non ero ancora in grado di codificarle ed elaborarle pienamente, non era ancora possibile decodificare l’intreccio tra progetto, risorse ed operatività.
Avevo solo un dato certo: la piena disponibilità e la piena collaborazione del Governo angolano e la serietà con la quale avevano discusso e volevano affrontare la problematica infantile e adolescenziale.
Sono rientrato in Italia alla vigilia di Pasqua, portando con me due forti sensazioni: la prima era data dal mal d’Africa espressa tramite la mia non voglia di rientro e la seconda era una mente piena di informazioni sparse alla rinfusa, come pezzi di puzzle rovesciati su un tavolo prima di essere incastrati.
E’ stato un percorso di conoscenza altalenante dal punto di vista tecnico: dopo ogni incontro avevo il bisogno urgente di ridefinire le priorità e sempre più spesso vivevo la contraddizione tra
interventi immediati di sopravvivenza e progettualità a più lungo respiro attraverso un intervento di tutela dell’infanzia, che ogni tanto rimbalzava nella mia mente come non prioritario di fronte ai bisogni primari.
E’ stato un susseguirsi di incontri con il mondo istituzionale e governativo, dal mondo universitario, al Ministero del Reinserimento sociale (MINARSE) a quello della Pubblica Istruzione, e soprattutto con le massime autorità della Polizia, per capirne gli umori e la loro condivisione all’ipotesi del nuovo progetto.
La fase di studio mi ha portato ad avvicinarmi e conoscere il “mondo scolastico” e la sua problematicità; basti pensare alla composizione delle classi che sono formate da più di cento bambini, al loro bisogno di reperimento di materiale scolastico di primaria necessità. Com’è diversa la realtà e com’è piena di contraddizioni: in Angola un bambino sorride quando riceve delle matite, gomme o quaderni, mentre da noi imperversa la tecnologia.
E’ stato comunque un incontro con l’entusiasmo di questi bambini, perché a differenza di quelli di strada hanno ancora la possibilità di immaginarsi nel futuro, di rispecchiarsi in un sogno, che spero non svanisca nella realtà del giorno dopo.
Gli incontri istituzionali sono stati molteplici e di diversa natura, avendo sempre però presente il tema della centralità minorile. La discussione di questa tematica ha richiesto di approfondire, per
esempio, la registrazione anagrafica del minori, ancora inesistente nel paese, ed ha portato all’avvio di un censimento anagrafico per tutti i cittadini angolani.
Altri incontri importanti sono stati quelli con il Ministro della Giustizia, i Giudici della famiglia ed i funzionari preposti, per conoscere la legislazione e soprattutto l’articolazione giuridica sulle competenze dei vari Tribunali Comunali e Provinciali, oltre la Corte Suprema gestori di varie competenze giurisdizionali.
In ogni ambito ho riscontrato interesse profondo e piena disponibilità, ma soprattutto, ciò che più mi ha meravigliato, un pieno interesse motivazionale nel nuovo progetto, anche se ancora non scritto e articolato.
Ogni giornata è stata piena di incontri e la sera diventava per me uno spazio di rielaborazione, riordino degli appunti e riflessioni; ma ancora uno spazio di ulteriori discussioni con gli operatori umanitari italiani che come me erano ospiti del Campo della Cooperazione italiana.
Per settimane ho vissuto con loro in case prefabbricate circondate da piante esotiche e fiori bellissimi, in un ambiente isolato completamente dall’esterno da un muro e da un pesante cancello scorrevole che era custodito ininterrottamente da guardie armate, a causa della guerra civile.
E’ stato per me un confronto importante, ho ascoltato il resoconto del loro lavoro di medici, animatori ed operatori diversi e con loro ho attraversato gran parte della realtà sociale dell’Angola.
La fase della studio sulla fattibilità progettuale stava per finire senza alcuna immagine tracciata
nella mente di alcun progetto; ero pieno di informazioni, ma non ero ancora in grado di codificarle ed elaborarle pienamente, non era ancora possibile decodificare l’intreccio tra progetto, risorse ed operatività.
Avevo solo un dato certo: la piena disponibilità e la piena collaborazione del Governo angolano e la serietà con la quale avevano discusso e volevano affrontare la problematica infantile e adolescenziale.
Sono rientrato in Italia alla vigilia di Pasqua, portando con me due forti sensazioni: la prima era data dal mal d’Africa espressa tramite la mia non voglia di rientro e la seconda era una mente piena di informazioni sparse alla rinfusa, come pezzi di puzzle rovesciati su un tavolo prima di essere incastrati.