Autore: 
Sonia Oppici, psicologa giuridica e psicodiagnosta

Davyd è arrivato in Italia dopo un viaggio in auto di due giorni. Da Odessa. L’istituto, dove viveva da quando era piccolo, è stato svuotato e i duecento ragazzini ospiti sono stati trasferiti per fare posto ai militari. E alla guerra.

Ha perso la mamma quando aveva meno di tre anni e il papà, non sapendo come riuscire ad occuparsene, dovendo lavorare, lo ha lasciato in quella struttura; perché qualcuno potesse accudirlo, farlo studiare, farlo crescere.

Il padre lo andava a trovare una volta al mese, nel weekend. Una storia della quale Davyd non racconta nulla. Se glielo chiedi abbassa gli occhi, mani sulle ginocchia. E tu capisci che quella domanda non la devi più fare. Davyd e il suo destino diverso si erano attraversati poche settimane prima dello sfollamento. La direttrice, un pomeriggio, aveva radunato tutti gli ospiti per comunicare che avrebbero dovuto lasciare la struttura; visto l’avanzare del conflitto, era necessario riconvertire urgentemente l’istituto in un rifugio per i soldati. Erano, quindi, stati contattati i parenti e i familiari dei ragazzini. Qualcuno aveva detto che sarebbe arrivato, qualcuno non aveva mai risposto. Non restava che aspettare.

L’attesa prosegue alcuni giorni e si riempie di angoscia, di spari, di qualche ora passata a giocare a pallone nel cortile dove, per un attimo, non si pensa ai morti, alle sirene, a un futuro che spaventa. Ma Davyd, come dice lui, “ha la fortuna”.

Qualche giorno dopo gli viene detto che i due fratelli maggiori, figli del primo matrimonio del padre, esistono davvero. La sorella abita in Italia da molto tempo, ha un lavoro e una casa. E sta arrivando a prenderlo, insieme al marito. Allora, il piccolo, incredulo, con la paura nella pancia che si mescola al cuore che batte fortissimo, toglie i libri dallo zaino della scuola e ci mette dentro tutto il suo armadio. Due magliette e due felpe, però, se le tiene addosso, e anche la giacca, quella più bella con il cappuccio, che non si sa mai.

I ragazzi più grandi ti prendono i vestiti migliori. Allora meglio non rischiare. È pronto. Fuori ci sono i soldati e la guerra, ma ora Davyd ha qualcuno da aspettare. Vera arriva. Non si sono mai conosciuti e potrebbe essere chiunque. È bionda come lui, ha una macchina e con lei c’è un uomo.

Chissà se sarà buono con me.

Però vado in Italia.

Ho visto delle foto e Roma è bellissima. Mia sorella mi dice che andremo a Milano. Non importa, sarà bellissima anche Milano e io diventerò un calciatore.

E sale in auto, abbracciato allo zaino.

La sorella racconterà come non se ne sia mai separato per tutto il viaggio. Un bambino di 11 anni con il naso incollato al finestrino, che non si addormenta mai. Perché, se l’unica cosa che hai visto nella tua piccola vita sono solo stati solo il cortile e il giardino dell’istituto, improvvisamente, dal vetro scorre un film di strade, montagne, mare. Ma se tu gli chiedi di raccontarti il viaggio, lui non si stanca mai di ripeterti quanto sia stato incredibile entrare in un autogrill: “Tanti, tanti tantissimi caramelle, cioccolatini” e, mentre te lo dice in un italiano buffo, inciampa in un sorriso grande, come le braccia che allarga per farti vedere quando fosse immenso, per lui, il negozio. Vera, lo guarda con affetto. Spiega che, usciti dall’autogrill, i cioccolatini non finiti li ha tenuti in un sacchetto, in mano sempre, fino a scioglierli. Lui sorride divertito dall’aneddoto.

Per noi è impossibile non pensare a quanto, in istituto, abbia dovuto difendere i suoi giochi, le magliette, il minuscolo tesoro dei suoi pochi anni. Quel dolore si chiama trauma cumulativo.  Quando, a partire dall’infanzia, il male si accanisce e scava buchi. Ma se qualcuno ti sta accanto, con forza e gentilezza, impari ad avere la luce necessaria per non precipitarci dentro troppo spesso.

Davyd è bravo a non inciampare nei suoi buchi e inizia la vita in Italia. È un bimbo amato dalla sorella, dal marito e dalla rete di amici connazionali ma tutti devono lavorare e hanno poco tempo da dedicargli. Lui è iscritto a scuola, deve imparare l’italiano, deve stare sempre seduto e mettere le calze. Non ha mai messo le calze. Gli danno fastidio, se le toglie e in classe lo prendono in giro, allora a scuola non ci vuole più andare. Diventa scontroso, irritabile, a volte aggressivo. Vera chiede aiuto ai servizi sociali. Scopre che esiste un dipartimento per l’emergenza dei minori ucraini e si affida.

Il sistema funziona: gli operatori conoscono lei, il marito, il piccolo e propongono una comunità. Vera ha paura. Davyd ha paura. Lui non ricomincia tutto da capo. E’ già stato in un istituto e non ci vuole tornare. Un assistente sociale paziente, di quelli che amano i ragazzi e le loro famiglie, spiega che in Italia gli istituti non esistono. Ci sono le “case dei bimbi” dove ognuno è accolto, accudito, sgridato se serve, ma tanto coccolato.

Dai Davyd, facciamo una prova. Vera ti telefonerà tutte le sere, e tutti i weekend potrai tornare a casa da lei.

Al termine del colloquio tra i vari disegni c’è quello di una bomba che esplode. Tu pensi che sia la guerra e ciò che ha visto e invece ti dice che è il suo cuore. È come si sente: arrabbiato, infelice, tradito. Si sente scoppiare

Davyd però, come chi è sopravvissuto, è un bimbo generoso; ha capito che la sorella non riesce proprio ad occuparsi di lui e si lascia convincere. Non smette di piangere, ma come un soldatino, la saluta e con il suo zainetto entra nella sua nuova “casa”. In comunità è tutto colorato, ci sono altri bambini e le educatrici hanno preparato una torta. Nella sua cameretta trova sul letto un orso gigantesco di peluche. Resta diffidente. La prima notte dorme poco, con lo zaino sotto il cuscino. Ci pensa Anna, la più piccola ma con un senso pratico unico, a sentenziare, definitiva: “Guarda che ti si storta il collo e diventi gobbo”.

Davyd non capisce una parola di italiano, allora spazientita, Anna gli mette sotto il naso l’immagine di Quasimodo e con un eloquente gesto ne imita la camminata. D’alta parte lei è Esmeralda e lo conosce bene. Davyd sorride, anzi ride, e si fa coinvolgere in questa favola che invece non conosce ma lo zaino resta sotto il cuscino ancora per qualche giorno. Fino a quando ci deve mettere dentro i libri della scuola.

Le giornate scorrono difficili ma l’italiano migliora, l’umore anche. Le memorie traumatiche sono voragini che scompongono la mente. Ritornare ad avere fiducia ti rende invincibile, come un supereroe. Il pomeriggio ti capita di vederli rincorrersi. Anna travestita da Esmeralda e Davyd da Uomo Ragno. Milano è davvero bellissima e i cioccolatini, ora, possono stare nell’armadio delle merende.


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Data di pubblicazione: 
Giovedì, Ottobre 12, 2023

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