Autore: 
Rosy Russo, Presidente dell'associazione Parole O_Stili, un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole
Spesso mi domando se, come adulti, stiamo davvero capendo quello che i ragazzi cercano di dirci. Il grande dibattito di questo periodo, estremamente polarizzante, riguarda unicamente l’età e le regole legate all'uso dello smartphone. “Niente cellulare a scuola; vietato il cellulare fino ai 14 anni e i social fino ai 16. I motori di ricerca sono diventati la scatola nera delle nostre vite”. Si è impugnato il divieto come l'UNICA soluzione.
 
Ma per chi lo facciamo? Per loro o per noi?
 
Spesso mi capita di andare a fare formazione nelle scuole e, proprio qualche giorno fa, sono stata in una classe di seconda media (come diciamo noi della Gen X). Inizio la lezione spiegando il nostro Manifesto della comunicazione non ostile e poi assegno loro un’attività: “Scrivi su un foglietto un insulto che hai ricevuto online e che ti ha fatto stare male”.
 
Cito testualmente alcuni dei messaggi: “Brutto b****rdo co****ne pezzo di m***a, spero che morirai molto presto prima dei 15 anni”, “Sono stata derisa in classe dalla prima elementare  fino a oggi”,  “Non ce la farai mai, sei troppo grassa per fare questo esercizio”.
 
Tutta colpa degli smartphone?
Non credo proprio, anche se sostengo che ai ragazzi dovrebbero essere date più regole su tempi, modi e stili per abitare quella nuova stanza della nostra vita che è il digitale.
Dove sta il problema? Nei cellulari, negli algoritmi? O nel non comprendere che, per vivere la Rete e i social, ci vogliono educazione e cultura?
 
È indubbio che, come adulti, ci troviamo di fronte a una sfida davvero tosta: come accompagnare la vita “digitale” dei nostri figli? Come renderli consapevoli che la Rete, nonostante tutto, è un luogo dove si può crescere in libertà e rispetto? Che, potenzialmente, è un luogo di incontro, diversità, dialogo, conoscenza? Come dice la pedagogista Barbara Laura Alaimo, “la paura di educare si sta trasformando in educazione attraverso la paura”.
 
“Virtuale è reale”, dice il primo principio del Manifesto della comunicazione non ostile. La linea tra il mondo online e quello offline è ormai sfumata, e per molti di noi, genitori e figli, la vita “onlife” è la nuova normalità. Da dove partire? Come navigare anche noi nel mondo digitale in modo equilibrato, così da poter accompagnare i nostri figli ed essere per loro un esempio virtuoso nella gestione della vita digitale?
La tentazione è quella di essere per loro dei semplici falegnami, anziché dei giardinieri. La differenza? Il falegname prende le misure con precisione, taglia e assembla, mentre il giardiniere crea uno spazio protetto e ricco di nutrimento e cura, ma poi lascia fiorire.
 
È indubbio che lo smartphone viene spesso usato come una sorta di babysitter. Dopotutto, sembra un modo efficace per "calmare" i nostri piccoli. Da mamma, riesco a capirlo, ma non a condividerlo. In Italia, il 58,1% dei bambini tra gli 11 e i 15 mesi utilizza computer, tablet o smartphone. Pediatri e psicologi arrivano a definirlo maltrattamento; lo paragonano a un veleno per i più piccoli, perché l'esposizione precoce può rallentare lo sviluppo psico-motorio o creare abitudini che riducono la capacità di concentrazione.
Ogni cambiamento ha bisogno di un cammino educativo.
 
Regolamentare l'uso dello smartphone non significa solo definire limiti di tempo, ma anche accompagnare i figli nella fruizione di contenuti e strumenti. Discutiamo insieme quali app e giochi sono più appropriati e insegniamo loro l'importanza di dire e scrivere in rete “solo cose che ho il coraggio di dire di persona”, citando il primo principio del Manifesto della comunicazione non ostile. Non si tratta solo di protezione, ma di educazione: aiutiamoli a capire cosa significa essere rispettosi anche dietro uno schermo. Coinvolgiamoli nella creazione di regole condivise, come evitare l'uso del telefono durante i pasti o prima di dormire, e a scuola solo dopo una certa età. È importante trasmettere che la fiducia va di pari passo con la responsabilità. Ma allo stesso tempo cresciamo anche noi.
 
Ci vuole coraggio? Sì! È faticoso? Da morire! Ma deve essere uno dei modi in cui amiamo i nostri figli.
 
Vivere “onlife” significa accettare che il mondo digitale è una parte integrante della nostra vita quotidiana, ma non deve dominarla. Come genitori, il nostro ruolo è quello di guidare, non di vietare.
L’uso dello smartphone va regolamentato in base all’età, ma sempre con un occhio alla crescita personale e al rispetto reciproco. Insegnare ai nostri figli a navigare nel mondo digitale con consapevolezza e responsabilità è un dono prezioso che li accompagnerà per tutta la vita.
 
In un’epoca in cui l’online è la nuova frontiera, noi genitori possiamo essere i fari che illuminano il percorso dei nostri figli, senza spegnerne la curiosità.
Insegniamo loro a parlare con il cuore, ma prima di tutto facciamolo anche noi. Facciamoli sentire accolti e consapevoli, perché, come dice Maya Angelou: “Ho imparato che le persone possono dimenticare ciò che hai detto, possono dimenticare ciò che hai fatto, ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire.”

 

 

Data di pubblicazione: 
Domenica, Ottobre 6, 2024

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