Autore: 
Mariagloria Lapegna
La ricordo bene quella porta: bianca, piuttosto sottile, esteticamente insignificante, con una maniglia grigia stile anni Sessanta. Non posso dimenticarla perché l’ho fissata a lungo mentre tutte le emozioni che conosco si confondevano nella mia testa.
 
La responsabile dell’Istituto ci accolse in un freddo pomeriggio, me e mio marito; avevamo accettato l’abbinamento proposto: due bambini, anzi, i nostri due figli. Ci fece accomodare in una specie di anticamera, qualche sedia e una scrivania, mentre al di là della porta bianca si sentivano voci adulte femminili e schiamazzi di bambini: qualcuno gridava, qualcuno piangeva. Io lo sapevo che dietro quella porta c’erano i miei figli.
 
La donna ci parlava, ci mostrò qualcosa, noi esibimmo i documenti e probabilmente ci intrattenemmo in un dialogo di cui non ricordo una parola: non avevo occhi che per la porta e gli unici suoni che udivo, amplificati, erano quelle voci là dietro. Eppure avrei voluto sapere qualcosa di più dei nomi e dell’età dei miei figli: le abitudini soprattutto, cosa mangiano, a che ora vanno a letto, cosa amano fare…volevo rendere il passaggio nella nostra casa il meno traumatico possibile. Quante volte, poi, me le sono fatte ripetere queste notizie dagli operatori dell’Istituto…Quel pomeriggio le dimenticavo continuamente.
 
Li avevo cercati per anni i miei figli, immaginati e sognati mille volte, avevo superato ostacoli che nemmeno sapevo esistessero e poi mi ritrovo fragile e indifesa davanti alla porta di un camerone pieno di bambini, senza più parole, temendo che quell’incontro atteso da sempre potesse svanire in un baleno, chissà per quale scherzo del destino.
 
Invece la porta bianca si apre. Qualcuno l’ha aperta, direi. Il mio respiro si ferma e con il cuore a mille vedo tanti bambini piccoli, alcuni con il grembiulino, sembra la scuola dell’infanzia; gironzolano nello stanzone, altri sono in braccio a delle donne, qualcuno è a terra seduto con un giocattolo. È acceso uno stereo, una canzonetta dal volume troppo alto sovrasta voci, risatine, pianti e i miei pensieri. “Chi sono i nostri?” è forse il mio primo impulso in quegli istanti, mentre allo stesso tempo mi chiedo: “e di chi sono tutti gli altri?” Perché quando hai deciso di diventare mamma di figli non nati da te, non è facile sistemare fuori dal tuo cuore bambini soli che legalmente non ti sono affidati.
 
Passano pochi minuti e qualcuno ci indica i nostri figli, ce ne porta in braccio uno dallo sguardo profondo e triste. Penso solo: “è bellissimo”, e non ho il coraggio di toccarlo.
 
Non mi accorgo intanto che altri tre, forse quattro bambini si sono avvicinati incuriositi e ci toccano, ci parlano, ma io non li capisco. Qualcuno vuole essere preso in braccio: attimi struggenti, non sappiamo che cosa fare. La responsabile ci spiega allora che no, questi non sono i nostri figli, e va a prendere per mano un bambino brunetto riccioluto intento a giocare con non so che cosa: occhi azzurri grandissimi, dentro si rispecchia il mondo.
 
Ecco, ora li vedo i miei due figli e solo allora riprendo a respirare.
 
 

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Data di pubblicazione: 
Sabato, Giugno 1, 2024

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