Autore: 
Luigi Ballerini, scrittore e orientatore

Ogni genitore è chiamato a essere un orientatore nella vita, incluso il caso particolare delle scelte scolastiche. Perché questo verbo, orientare, non faccia malamente coppia con manipolare o suggestionare occorre però che abbia sempre come guida e come faro la stima per il pensiero della ragazza o del ragazzo. È lei o lui che infatti si devono orientare, noi adulti siamo lì per aiutarli in questo percorso. E allora quale nostra posizione aiuterà meglio i figli nelle scelte che devono fare? Chi è, in fondo, un orientatore?

Innanzitutto è un adulto che vuole farsi compagno in modo affidabile e rispettoso di un giovane. I termini sono precisi: compagno, affidabile, rispettoso. Compagno perché amico della sua realizzazione come persona, affidabile perché è uno che sa, rispettoso perché non impone, ma sollecita, invita, invoglia. Anche per quanto riguarda la scelta della scuola superiore, così come per le scelte post diploma, sarebbe un errore voler indirizzare un ragazzo dove noi riteniamo sia meglio per lui, seppure sulla base delle buone informazioni che possediamo. Il nostro compito è piuttosto metterlo al centro, offrirgli un tempo di riflessione su di sé così come uno spazio di parola da mettere in comune. In fondo diventiamo dei facilitatori di pensiero, che mettono in moto le idee, innescano passioni, stimolano la formulazione di ipotesi. Più che dare risposte, cosa che se richiesta dovremmo comunque saper fare, è utile sollecitare domande perché il ragazzo raggiunga una maggior consapevolezza di se stesso: che cosa mi attrae e che cosa mi respinge, che cosa mi viene bene o proprio non mi riesce, chi desidero diventare, come mi vedo nel futuro.

I ragazzi potrebbero mostrarsi molto incerti, dubbiosi, persino timorosi, ed eccoci quindi al loro fianco nel rassicurarli sul fatto che non sono soli a fare la scelta, che se la ponderiamo bene, le cose si metteranno al meglio, che se qualcosa non andrà come desiderato, saremo insieme nel rivedere il percorso. Non permettiamo che si scoraggino o si spaventino, questo rischierebbe di frenarli e inibirli. Oppure, al contrario, potrebbero mostrarsi troppo decisi, magari proiettati in direzioni che non ci convincono e troviamo irrealistiche. Anche qui conviene lasciare aperto uno spazio di dialogo, senza irrigidirli con una posizione di contrasto che potrebbe sconfinare in una chiusura irrevocabile. Si tratterà invece di avere pazienza, aiutare il giovane a individuare con più chiarezza i criteri della sua scelta, analizzarli insieme, arrivare gradualmente a un piano di realtà in cui si valutano la fattibilità, le conseguenze, i rischi e le opportunità.

Per stare di fronte ai ragazzi in questo modo ci è chiesto innanzitutto di non proiettare su di loro le nostre aspettative e i nostri pregiudizi sulle scuole. Ancora oggi, in uscita dalle medie, rischiamo di pensare che esistano scuole di serie A, i licei, di serie B, i tecnici, e serie C, i professionali. Questa visione però annebbia il giudizio, perché nessuno vorrebbe mandare una figlia o un figlio in una scuola che non sia di serie A. Ecco allora il rischio di licealizzazione forzata che potrebbe spingere verso un percorso non idoneo alla persona. Dobbiamo sempre stare attenti ai pregiudizi che albergano in noi. Sono quelli in base ai quali classifichiamo le scuole in astratto, senza tener conto della singola persona. Penso a un giudizio che sento esprimere molto spesso: fai il liceo scientifico perché è una scuola che apre! Ma che cosa vuol dire? Ciò che sulla carta potrebbe anche essere vero, posto che si definisca con chiarezza il concetto di apertura, potrebbe infrangersi nello scontro con la realtà di quella singola ragazza o ragazzo, potrebbe tradursi nella frequentazione di una scuola tanto non adatta da far passare la voglia di studiare, di chiudere con la scuola tout court. Altro che apertura…

Ho una personale definizione di scuola giusta: non esiste la scuola giusta in assoluto, ma la scuola giusta per Marta, Luca, Paolo, Lisa… E la scuola giusta è, secondo me, quella che si conclude nella sua durata legale (non un anno di più), che si frequenta con profitto e soddisfazione (senza che diventi un percorso agonico) e che permetta di fare anche altro oltre che studiare (perché il pensiero di una ragazza e di un ragazzo si nutre anche di serie tv, romanzi, sport, passeggiate con gli amici, canzoni, passioni da coltivare, uscite con gli amici, biscotti da infornare e talora anche di un po’ di noia).

Perché i genitori possano aiutare i figli è necessario soprattutto che non proiettino su di loro le, forse inevitabili, aspettative che nutrono nei loro confronti. Lo o la vorrei X, dove al posto della X davvero può starci di tutto. Dobbiamo invece stare alla ragazza e al ragazzo reale, a chi è in questo momento e non a chi vorremmo che fosse, a chi desidera diventare più che a come lo desideriamo noi. Tra l’altro, un figlio, una figlia che si sentiranno guardati in questo modo avranno più agio nello scoprirsi e nel raccontarsi, liberi dalla paura di risultare deludenti in quanto non corrispondenti al volere di un altro su loro stessi.

Ecco allora l’auspicio: trasformare il momento della scelta della scuola in un’occasione di dialogo, da continuare o riprendere o iniziare. Se al momento della scelta i figli conosceranno di più i genitori e i genitori i loro figli, dentro un dialogo libero e aperto che nulla teme, ci sarà davvero un prezioso guadagno, oltre l’identificazione della scuola più giusta. Un clima di tal genere sarà inoltre il migliore per poter affrontare serenamente la nuova avventura, con tutte le gioie e le difficoltà che potranno emergere nel tempo.

 

 


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Data di pubblicazione: 
Martedì, Gennaio 2, 2024

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